R E P U B B L I C A I T A L I A N A PRETURA CIRCONDARIALE DI R I M I N I IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il PRETORE di RIMINI Dott. Fortunato Rosario Barone ha pronunziato la seguente S E N T E N Z A nel processo penale nei confronti di: 1) CERIOLI ITALO, nato a Brescia il 18.10.28, res.te ivi in via Romolo Romani n.7; 2) SILVESTRI CLAUDIO, nato a Cevo il 5.8.57, res.te in Lovere, Villaggio Donizetti; 3) GISLIMBERTI GIULIANO, nato a Trento il 4.1.39, ivi res.te, C.so Tre Novembre n.65; 4) BRUGNA ERMANNO, nato a Trento l'11.9.61, ivi res.te Alle 7 Fontane, n.13; 5) BALLI SERGIO, nato a Firenze il 14.8.30 con domicilio eletto c/o Enel di Torino, Via Valfre' n.16; 6) NEGRONI ALBERTO, nato a Roma il 14.1.27, res.te ad Ancona, Via Cadore n.22; 7) COLUCCI ELIO, nato a Tokio il 12.1.26, res.te a Frascati, Via Sale' n.48. tutti liberi presenti I M P U T A T I del delitto p. e p. dagli artt.81, co.1°, 113, 590, co. 2°, c.p., per avere, con cooperazione colposa, il Negroni quale direttore generale ENEL, il Colucci quale direttore centrale approvviggionamenti e appalti ENEL, il Cerioli, il Brugna ed il Silvestri quali capi e assistente capo cantiere, il Gislimberti quale direttore lavori e il Balli quale responsabile del centro progettazione - costruzione linee ENEL zona di Firenze, mediante costruzione di una linea di elettrodotto Forli'-Fano a 380 KV, con creazione di campo elettromagnetico, cagionato alle persone sotto elencate le sottospecificate lesioni da cui derivavano malattie per tutti guaribili in un tempo superiori a gg.40, per colpa consistita in negligenza e imperizia emersa nel corso di reiterate diffide da parte delle persone offese, controversie giudiziarie ordinarie ed amministrative, molteplici incontri per la trattazione dell'argomento, tutte compendiate ed evidenziate nell'atto di querela del 10.3.93: 1) Giovagnoli Raffaele affetto da crisi di cefalea gravativa e nervosismo in soggetto con lieve aumento della proteinemia e delle immonoglobuline e modesta ipertensione arteriosa; 2) Siliquini Luigi affetto da sindrome vertiginosa e cefalea. In Rimini dal 27.1.91 a tutt'oggi. Querele del 10.3.93 Con la presenza delle parti civili Giovagnoli Raffaele, Siliquini Luigi e il Comune di Rimini e l'intervento delle Associazioni W.W.F. e Legambiente. Conclusioni del Pubblico Ministero: Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto, Colucci Elio e Balli Sergio con condanna degli stessi alla pena di mesi cinque di reclusione ciascuno. Assoluzione degli imputati Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano e Brugna Ermanno dal reato loro ascritto perche' il fatto non costituisce reato. Conclusioni per le parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi: Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto, Colucci Elio e Balli Sergio con condanna alle pene di giustizia e, altresi', in solido tra loro e con il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Giovagnoli e Siliquini nella misura attuale della somma di L. 10.000.000 ciascuno, di cui L. 5.000.000 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, oltre alla rifusione delle spese. Condanna dell'E.N.E.L. a disattivare l'elettrodotto. Conclusioni per la parte civile Comune di Rimini: Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto, Colucci Elio e Balli Sergio con condanna alle pene di giustizia e, altresi', in solido tra loro al risarcimento dei danni in favore del Comune di Rimini nella misura attuale della somma di L. 50.000.000 ed all'interramento delle strutture insalubri, oltre alla rifusione delle spese ed alla pubblicazione della sentenza. Conclusioni per gli imputati: Assoluzione degli imputati Negroni Alberto e Colucci Elio per non aver commesso il fatto; Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano, Brugna Ermanno e Balli Sergio perche' il fatto non sussiste e in subordine perche' il fatto non costituisce reato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito di querela sporta in data 10 marzo 1993 da Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, Bianchi Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio, Pasquinelli Pierina, Cesarini Giulio, Pasquini Angela, Lazzarini Fabio, Gasparri Fiorella, Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, il Pubblico Ministero chiedeva al Giudice per le indagini preliminari di procedere con incidente probatorio a perizia sulle parti offese. In data 8 luglio 1994, il Giudice richiesto conferiva incarico peritale ad un collegio composto dai dottori Giovanni Olivieri - medico legale di Rimini -, Alberto Ravaioli - Primario oncologo in Rimini - e Pietro Comba - Direttore del Reparto di Epidemiologia Ambientale Istituto Superiore di Sanita' -, formulando i seguenti quesiti: "Dicano i periti, tenuto conto dell'aspetto scientifico-bibliografico, degli accertamenti clinici eseguiti sulle pp.oo., delle considerazioni medico-legali, esaminati gli atti ed i documenti di causa, visitati i periziandi ed espletate le indagini specialistiche occorrenti: 1) natura ed entita' delle lesioni e sussistenza di nesso eziologico rispetto al campo magnetico; 2) durata della malattia prodotta dalle suddette lesioni; 3) durata della incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni; 4) se vi e' pericolo di vita, 5) la sussistenza di postumi di natura permanente ovvero la loro eventuale futura verificazione, tali da considerare indebolimento permanente di organi o sensi, nonche' di ogni altro elemento rilevante ai sensi dell'art. 583 c.p.; 6) se, allo stato delle attuali conoscenze, erano prevedibili siffatti eventi. All'esito della perizia Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano Brugna Ermanno, Balli Sergio, Negroni Alberto e Colucci Elio venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di lesioni colpose gravi, meglio descritto in rubrica, commesso in danno di Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, Bianchi Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio, Pasquinelli Pierina, Cesarini Giulio, Pasquini Angela, Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, Alla prima udienza del 18 ottobre 1996, dichiaravano di costituirsi parte civile i querelanti, il Comune di Rimini, l'Associazione W.W.F. e l'Associazione Legambiente. La difesa degli imputati eccepiva preliminarmente l'irritualita' della querela in punto all'autentica della firma dei querelanti, ad eccezione di quelle di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, e chiedeva la relativa declaratoria di improcedibilita' dell'azione penale nei confronti dei prevenuti. Con sentenza pronunciata il medesimo giorno (all. n. 1), il Pretore, in accoglimento dell'eccezione, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato loro ascritto relativamente alle contestate lesioni in danno di Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, Bianchi Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio, Pasquinelli Pierina, Cesarini Giulio, e Pasquini Angela, perche' l'azione penale non doveva essere iniziata per difetto di querela e disponeva lo stralcio degli atti e la prosecuzione del giudizio nei confronti degli odierni imputati relativamente alle lesioni contestate in danno di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi. Sulle residue cinque dichiarazioni di costituzione di parte civile (Giovagnoli, Siliquini, Comune di Rimini, W.W.F. e Legambiente), la difesa degli imputati sollevava, altresi', sia questione di validita' formale, comune a tutte e cinque le dichiarazioni (unica firma di autentica del difensore rispetto a due atti: procura speciale e mandato ad litem), sia questione di legittimazione alla costituzione di parte civile del Comune di Rimini, dell'Associazione W.W.F e dell'Associazione Legambiente (portatori di interessi diffusi e non titolari di diritti soggettivi) - (trascr. ud. pom. 14.11.1996, pagg. 1-42). Il Pretore, sciogliendo la riserva sulla decisione, pronunciava la seguente ordinanza: "Sulle sollevate eccezioni di invalidita' delle costituzioni di parte civile, osserva: L'art. 76, 1° comma, c.p.p., prevede che "l'azione civile nel processo penale e' esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile", laddove l'avverbio "anche" non puo' avere altro significato che "inoltre"-"altresi'". Ne deriva che spetta al danneggiato la scelta della soluzione di costituirsi personalmente ovvero a mezzo di procuratore speciale, tenendo sempre ben presente che in ogni caso la parte civile "sta in giudizio col ministero di un difensore" (art. 100 c.p.p.) e che la costituzione di parte civile va distinta dalla rappresentanza processuale della parte civile, conferita a mezzo di procura speciale, ai sensi dell'art.100 c.p.p. I due atti, infatti, sono diversi ed autonomi, pur potendosi delegare con la stessa procura sia la dichiarazione di costituzione che la rappresentanza. Tale interpretazione trova puntuale riscontro nella disposizione dell'art.78, ult. comma, che testualmente recita: "La procura conferita nelle forme previste dall'art.100, 1°comma, e' depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione di parte civile". Posto che il danneggiato e' legittimato a costituirsi personalmente, nel senso che la domanda giudiziale puo' essere formulata di persona senza l'obbligo di delegarla ad altri, occorre stabilire, ai fini della ritualita' della procedura, quali siano le formalita' della costituzione di parte civile nelle due ipotesi contemplate dall'art. 76, citato. Le regole sulla formalita' della costituzione di parte civile sono previste dall'art. 78 c.p.p. che, al primo comma e relativamente al problema di cui trattasi, stabilisce che la costituzione di parte civile "deve contenere, a pena di inammissibilita': a) le generalita' della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalita' del suo legale rappresentante; c) il nome e cognome del difensore e l'indicazione della procura; e) la sottoscrizione del difensore." Non viola, quindi, la regola di cui all'art.78 (e non puo' essere dichiarata inammissibile la sua costituzione di parte civile), il danneggiato dal reato che, formulando personalmente la dichiarazione traslata nell'atto sottoscritto dal suo difensore, ottemperi alle disposizioni sopra menzionate. Meno agevole appare l'interpretazione della normativa allorche' il danneggiato opti per la soluzione alternativa suggerita dall'art. 76, vale a dire quando scelga di costituirsi a mezzo di procuratore speciale e piu' specificamente quando conferisca tale potere al suo difensore sicche' questi viene ad assumere la doppia veste di procuratore-difensore. Nel dibattito giurisprudenziale sorto sulla questione, questo pretore ritiene di dover condividere la tesi secondo cui (cfr., per tutte, Cass., Sez. I°, 8 novembre 1993, Visconti, in Mass. Cass. pen., 1994, fasc.2, 72) e' ammissibile la autenticazione del difensore, ex art.39 disp. att., c.p.p., con riferimento alla sottoscrizione apposta in calce alla procura che, unitamente ai poteri ex art.76 c.p.p., conferisca al medesimo la delega alla rappresentanza e difesa di cui all'art.100, stesso codice, per le seguenti ragioni giuridiche: L'art.100 c.p.p., nel dettare le regole relative alla difesa delle parti private diverse dall'imputato, evidenzia, in maniera abbastanza chiara, come il legislatore abbia inteso modellare la disciplina della difesa e della rappresentanza di quelle parti nel processo penale alla disciplina prevista nel processo civile. Come dire che il difensore, nel caso che interessa della parte civile, agisce nel processo penale con le stesse prerogative e gli stessi poteri riconosciutigli, qualora avesse adito il giudice civile, nel processo civile. L'art.76 c.p.p. ammette che la costituzione di parte civile possa avvenire anche a mezzo di procuratore speciale. L'art.122 c.p.p. stabilisce che, in tal caso, la procura deve essere conferita, a pena di inammissibilita', con atto pubblico o scrittura privata autenticata. L'art. 39, disp. att., c.p.p., statuisce, come regola generale, che il difensore deve ritenersi abilitato, al pari del funzionario di cancelleria, del notaio, del sindaco etc., all'autenticazione della sottoscrizione di atti, salvo che speciali disposizioni prevedano diversamente. I dubbi interpretativi sollevati sull'applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 122 e 39, citati, afferiscono particolarmente, come gia' rilevato, al caso in cui al difensore sia conferita procura speciale a costituirsi parte civile nel processo penale. Leggendo l'art. 122 non possiamo non constatare che esso ripete il contenuto dell'art. 136 cod. Rocco con due diversita' che non rilevano ai nostri fini (il primo e' meramente formale e consiste nella sostituzione del vecchio termine "mandato" con il nuovo e piu' preciso termine "procura" ed il secondo riguarda i rappresentanti della P.A.) e che farebbero propendere per una immutata disciplina giuridica. Prima di affrontare specificamente il problema interpretativo del combinato disposto degli artt. 122 cod. e 39 att., e' opportuno soffermarsi brevemente sulla diversa collocazione degli artt. 122 Vassalli e 136 Rocco, nei rispettivi codici, perche' in essa va individuata la principale ragione del dibattito giurisprudenziale sul potere certificatorio del difensore. Mentre l'art. 136 era collocato nel titolo dedicato alle parti e precisamente nella sezione dei difensori - tant'e' che era intitolato "procuratori speciali per determinati atti" -, l'art. 122 e' collocato nel libro dedicato agli atti ed e' intitolato "procura speciale per determinati atti". La differente collocazione, si legge nella Relazione al Progetto preliminare del nuovo codice, trova la propria ragione nel fatto che "procuratore speciale puo' essere anche un soggetto diverso dal difensore" e consente di differenziare nettamente l'istituto della rappresentanza per il compimento di determinati atti (che la parte puo' conferire al suo difensore, ma anche ad una persona diversa) dalla figura del difensore le cui funzioni, anche quando implicano l'esercizio dei poteri di rappresentanza (art. 100), sono svolte da particolari soggetti professionali e non sono limitate ad atti determinati. Bisogna quindi tenere ben distinta la figura del difensore "tout court" da quella del difensore che e' anche procuratore speciale per il compimento di determinati atti. La disposizione normativa circa le formalita' di rilascio della procura speciale per determinati atti e' contenuta nell'art. 122 nel quale si legge che la procura deve essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Poiche' nella norma non e' indicato espressamente il soggetto legittimato all'autentica, occorre stabilire chi deve ritenersi legittimato per disposizione di legge ad esercitare tale potere certificatorio. Il codice Vassalli non detta alcuna regola generale sul punto. Lo stesso art. 110, che tratta in generale delle modalita' di sottoscrizione, nulla dispone in ordine all'autenticazione. L'unica norma avente portata generale e' quella dell'art. 39 disp. att., che demanda il potere certificatorio ad una serie di soggetti, tra i quali il difensore, con l'eccezione (a conferma della portata generale dell'art. 39) dei casi in cui disposizioni speciali prevedano diversamente. Come dire che la regola dell'art. 39 sul potere certificatorio vale per tutti gli atti processuali salvo che per alcuno la norma di riferimento espressamente individui in particolari soggetti, e quindi limiti ad essi, la titolarita' del potere di autentica. Occorre percio' accertare caso per caso se il legislatore abbia dettato disposizioni speciali applicabili in deroga alla regola dell'attribuzione generalizzata del potere di autenticazione di cui all'art. 39 disp. att., e se, relativamente al caso de quo, sia individuabile nell'art. 122, cosi' come formulato, una previsione specializzante. Osserva il giudicante che esistono nel codice vigente disposizioni normative che, accanto alla previsione dell'autentica della sottoscrizione di atti, indicano espressamente anche i soggetti a cio' abilitati, come ad es.: l'impugnazione proposta con atto trasmesso a mezzo raccomandata (art. 583, 3° comma) e la comunicazione del domicilio eletto o dichiarato (art. 162, 1° comma), per le quali le rispettive norme statuiscono che la sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio o dal difensore; la richiesta di applicazione della pena (art. 446, 3° comma) e la richiesta del giudizio abbreviato (art. 438, 3° comma), per le quali le rispettive norme statuiscono che "la volonta' dell'imputato e' espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione e' autenticata nelle forme previste dall'art. 583, comma 3", vale a dire da un notaio o dal difensore. Ma, osserva ancora il giudicante, esistono nel codice altre disposizioni normative che, pur prevedendo l'obbligo dell'autentica della sottoscrizione, nulla specificano in ordine ai soggetti a cio' legittimati. Tra tali disposizioni rientra sicuramente quella di cui al primo comma dell'art. 122, rilevando, peraltro, che lo stesso articolo nel successivo comma prevede, ad ulteriore conferma che non e' sfuggita al legislatore la specifica previsione per l'ipotesi di cui al comma precedente, che "per le amministrazioni pubbliche e' sufficiente che la procura sia sottoscritta dal dirigente dell'ufficio". E tra le disposizioni che non contengono l'indicazione del soggetto abilitato all'autentica dello specifico atto, rientra sicuramente anche quella di cui all'art. 337, 1° comma (formalita' della querela). L'accostamento delle due disposizioni (artt. 122.1 e 337.1) viene qui' proposto perche' l'esito dell'analisi comparata delle stesse contribuisce a suggerire la corretta chiave di lettura interpretativa Infatti, tenuto conto dell'equivalente natura giuridica degli atti oggetto della sottoscrizione, e ribadito che in entrambe le disposizioni sopra menzionate e' prescritta l'autentica della sottoscrizione senza l'espressa previsione in ordine al soggetto legittimato all'autentica, nessun dubbio ragionevole puo' essere sollevato sul fatto che in entrambe le ipotesi debba applicarsi la medesima regola giuridica. Mai dubbi interpretativi sono stati sollevati sulla legittimazione del difensore ad autenticare la sottoscrizione del cliente apposta in calce all'atto di querela. Anzi la Suprema Corte ha costantemente affermato sul punto (cfr. per tutte, Cass. pen., sez. V, 16 aprile 1993, n. 3719, Mancini ed altro) che "l'espressione sottoscrizione autentica contenuta nel primo comma dell'art. 337 c.p.p. va intesa nel senso di sottoscrizione autenticata da un soggetto a cio' legittimato e, quindi, anche dal difensore, ai sensi dell'art. 39 att., valendo, a tal fine, anche l'autenticazione effettuata dal difensore che non sia stato espressamente nominato giacche', in tal caso, proprio sulla base della stessa autenticazione, e dell'attivita' contestuale alla sottoscrizione dell'atto di querela (oltre che, eventualmente, della presentazione di quest'ultimo, da parte del legale, all'autorita' competente), puo' validamente desumersi l'esistenza di una nomina tacita". E allora, se la regola da applicarsi e' la stessa perche' gli atti sono equipollenti e le situazioni giuridiche simili, non si comprende perche' al difensore non debba essere riconosciuto il potere di autentica della scrittura privata di cui all'art. 122 quando unanimemente tale potere gli e' riconosciuto in ordine alla sottoscrizione dell'atto di querela. Deve, quindi, ritenersi corretta l'interpretazione che individua nel difensore un soggetto abilitato, in linea di principio giuridico generale, all'autenticazione della sottoscrizione degli atti, tra i quali rientrano le scritture private del cliente come quelle di cui si discute. Ne deriva che quando la costituzione di parte civile avviene a mezzo del difensore quale procuratore speciale e la procura e' conferita con scrittura privata autenticata dal difensore stesso, come nei casi de quibus, non deve ritenersi violata la disposizione dell'art.122 citato in quanto tale disposizione non restringe espressamente l'ambito di applicazione del potere certificatorio agli esercenti della specifica pubblica funzione. Anzi, proprio dal combinato disposto degli artt.122 e 39, citati, si evince che, rispetto agli atti indicati nella normativa sul processo penale, il novero dei pubblici ufficiali abilitati ad autenticare la sottoscrizione delle scritture private e' stato ampliato. Ne consegue che il potere di autentica del difensore e' correttamente esercitato sempre che, ovviamente, al momento dell'esercizio concreto di tale potere il legale abbia gia' assunto la veste di difensore, non senza rimarcare che la Suprema Corte, a proposito dell'analoga fattispecie ex art. 337.1 (formalita' della querela), si e' spinta oltre riconoscendo, come sopra riportato, il potere di autentica anche al difensore non ancora espressamente nominato. E tale condizione puo' dirsi soddisfatta anche quando la procura speciale, ex art.76 c.p.p., sia conferita unitamente alla procura alle liti, cosi' che le due procure vengano autenticate dal difensore contestualmente nominato. Appare, pertanto, condivisibile il principio secondo cui la procura speciale debba essere conferita, a pena di inammissibilita', con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a cio' autorizzato (artt. 2699, 2703 tra i quali non compare il difensore), ma solo limitatamente ai casi in cui le due procure siano state conferite separatamente e quella ad litem sia stata conferita successivamente e non precedentemente ovvero contestualmente alla procura speciale ex artt.76 e 122 c.p.p. P. Q. M. respinge le eccezioni di invalidita' sollevate dalla difesa degli imputati relativamente alle costituzioni di parte civile di Giovagnoli Raffaele, Siliquini Luigi, il Comune di Rimini, L'Associazione W.W.F. e L'Associazione Legambiente. Sulle eccezioni relative alla legittimazione del Comune di Rimini, dell'Associazione W.W.F. e dell'Associazione Legambiente a costituirsi parte civile nel presente processo penale, osserva: L'art.185 c.p. prevede che "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole..." L'art.74 c.p.p. individua specificamente nel soggetto danneggiato dal reato (e non anche il soggetto passivo o la persona offesa) il legittimato ad esperire l'azione civile nel processo penale. In tema di tutela ambientale, la Legge 8 luglio 1986, n°349, riserva la costituzione di parte civile "allo Stato, nonche' agli altri enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo (art.18, 3°comma), mentre alle associazioni individuate in base all'art.13, stessa legge, attribuisce solo il potere di "intervenire" (art.18, 5° comma). Premessi tali principi generali, la risposta alle questioni sollevate, circa la legittimazione a costituirsi parte civile, nel presente processo, del Comune di Rimini, dell'Associazione W.W.F. e dell'Associazione Legambiente, non puo' essere formulata prima di avere risolto il seguente quesito: se il fatto cosi' come contestato in rubrica rientri nel tema della tutela ambientale e, quindi, possano trovare applicazione le disposizioni di cui alla Legge 8 luglio 1986, N°349. Occorre, ancora una volta, premettere che il contestato reato di lesioni colpose rientra, come correttamente ha evidenziato la difesa degli imputati, tra i delitti contro l'incolumita' individuale e, quindi, l'interesse tutelato e' il bene giuridico dell'incolumita' delle persone; ma anche, aggiunge il giudicante, l'interesse dello Stato all'integrita' dei consociati. Ne deriva che potenziale danneggiato dal reato di lesioni colpose in danno dei propri cittadini e' anche lo Stato il quale, quindi, ove dimostri di avere subito un danno risarcibile, puo' legittimamente costituirsi parte civile nel processo penale. E cio' indipendentemente che si versi o meno in tema di tutela ambientale. Nel caso di specie, il rimprovero penalmente perseguibile che viene mosso agli imputati, nelle loro specifiche qualita', e' di avere costruito e attivato un elettrodotto sul territorio del Comune di Rimini che, a dire dell'accusa, ha cagionato malattie derivanti da lesioni alle persone abitanti nei pressi. Si rimprovera, cioe', agli imputati di avere realizzato un'opera concretamente, e non solo in linea di teoria, idonea a cagionare malattie derivanti da lesioni, seppure solo a una parte territorialmente circoscritta della collettivita' riminese. Non pare dubitabile che una tale impostazione implichi un potenziale attacco all'ambiente, inteso quest'ultimo, come attacco alla qualita' della vita dei cittadini e, quindi, possano trovare applicazione le disposizioni della Legge 8 luglio 1986, N°349. Tuttavia, tra i diversi indirizzi giurisprudenziali questo giudice ritiene di condividere la tesi secondo cui anche la materia relativa alla tutela ambientale non sia sottratta al rispetto del principio generale desumibile dal combinato disposto di cui agli artt.185 c.p. e 74 c.p.p. e, quindi, che non siano azionabili nel processo penale pretese, dipendenti da reato, che non siano esperibili anche davanti al giudice civile. Invero, la terminologia usata dal legislatore del 1986 (ambigua all'epoca dell'entrata in vigore della legge citata perche' l'allora codice di procedura penale non prevedeva forme di partecipazione al processo della persona offesa e delle associazioni portatrici di interessi diffusi diverse dalla costituzione di parte civile) assume, con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, un preciso significato tecnico-giuridico atteso che tale nuovo codice riconosce anche agli enti territoriali e ai cosiddetti enti esponenziali di "esercitare... i diritti e le facolta' attribuiti alla persona offesa", mediante l'intervento (cfr.artt. 91 e segg. c.p.p.; 212 disp. att., stesso codice, il quale statuisce che "quando leggi o decreti consentono la costituzione di parte civile o l'intervento nel processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell'art.74 del codice, e' consentito solo l'intervento nei limiti e alle condizioni degli artt.91, 92, 93 e 94 del codice"). Come dire che, eccezion fatta per lo Stato al quale, come vedremo nel prosieguo e' riconosciuto sempre il diritto al risarcimento del danno, anche gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato devono ritenersi, a norma dell'art.74 c.p.p., legittimati a costituirsi parte civile nel processo penale solo ove abbiano subito un danno risarcibile ai sensi dell'art.185 c.p.; e che fuori da tali ipotesi hanno solo facolta' di "intervenire". Nel caso di specie, nella prospettazione delle dichiarazioni di parte civile, nessun danno diretto appare ipotizzabile nei confronti dell'Associazione Italiana per il W.W.F. e dell'Associazione Legambiente Emilia Romagna per cui tali enti vanno esclusi dal processo come parti civili e la loro dichiarazione di costituzione di parte civile vale, per il principio di conservazione, come dichiarazione d'intervento. Diversa e' la posizione del Comune di Rimini, ente pubblico territoriale, sul cui territorio incide la linea di elettrodotto di cui trattasi. Il 1° comma del citato art.18, sancisce che "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato." La previsione legislativa riconosce, quindi, allo Stato un diritto soggettivo azionabile nel processo penale a norma dell'art.74 c.p.p. La difesa del Comune di Rimini ha prodotto l'ordinanza, datata 15 giugno 1991 (all. n. 2), con la quale il Sindaco, dopo aver preso atto, sia da specifiche ricerche scientifiche sia del parere del Servizio di Igiene Pubblica, del pericolo "di conseguenze dannose per la pubblica salute derivanti dall'attivazione e dal funzionamento dell'elettrodotto in questione", e "visto il disposto della Legge 9.01.1991, n°9, che assoggetta gli elettrodotti ad alta tensione (quale e' quello in parola) alla disciplina per la valutazione di impatto ambientale, riconoscendoli cioe' opere capaci di indurre importanti effetti sull'ambiente (e sulla salute della popolazione)", ordinava all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica (ENEL) la sospensione cautelativa dell'attivazione dell'elettrodotto sul territorio del Comune di Rimini "nella attesa di una valutazione piu' approfondita sia del tracciato che delle influenze dei campi elettromagnetici da esso prodotti sulle persone abitanti nelle aree interessate". L'elettrodotto, quindi, e' stato attivato in violazione dell'ordinanza di sospensione del Sindaco di Rimini emessa per prevenire un "evidenziato scientificamente" rischio di lesione della salubrita' dell'ambiente comunale. Non v'e' dubbio che il fatto (l'art.18, cit., si riferisce a fatto e non a reato doloso o colposo) cosi' come contestato in rubrica implica un'attitudine lesiva della salute dei cittadini che obbliga, se in concreto acclarata, l'autore del fatto stesso al risarcimento in favore dello Stato. Da una prima lettura del 1° comma dell'art.18, cit., sembrerebbe che il legislatore abbia voluto riservare solo allo Stato il diritto all'azione del risarcimento del danno anche perche' tale interpretazione letterale trova riscontro nella disposizione del 3° comma, prima parte ("l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, e' promossa dallo Stato"), e nella disposizione del 9° comma ("per la riscossione dei crediti in favore dello Stato..."). Tale interpretazione pero' non trova conforto (sorgono anzi dubbi interpretativi sul punto), nella previsione legislativa contenuta nella seconda parte del citato comma 3° che, dopo avere fatto pensare ad un monopolio dell'esercizio dell'azione in favore dello Stato, consente la costituzione di parte civile anche "agli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo". Com'e' conciliabile, dal punto di vista tecnico-giuridico, tale ultima previsione con la previsione indiscutibile che eslusivo titolare del diritto al risarcimento e' lo Stato? Non ignora il giudicante, anche perche' in precedenza integralmente riportata, la disposizione dell'art. 212 disp. att., c.p.p., con la quale il legislatore del nuovo codice ha chiarito che unici soggetti legittimati a costituirsi parte civile nel processo penale sono quelli indicati nell'art.74 del codice e che a tutti gli altri, che pur vantano un interesse, e' riconosciuta solo la facolta' di intervenire, pur tuttavia, nel caso di specie e allo stato degli atti, non puo' non riconoscersi al Comune di Rimini il potere-dovere di costituirsi parte civile. Escluso che nei processi penali ove gli imputati sono chiamati a rispondere di fatti aggressivi dell'ambiente si possa riconoscere, in linea di principio generale, agli enti territoriali la legittimazione a costituirsi parte civile per ottenere a proprio favore il risarcimento di un danno dovuto solo allo Stato (salvi ovviamente i casi di concreta sussistenza di danno diretto), il disposto di cui alla seconda parte del 3° comma dell'art.18, trova una spiegazione logico-giuridica se lo si esamina in un contesto piu' ampio che tenga conto dell'istituto della sostituzione processuale disciplinato dal codice di procedura civile, alle cui norme legittimamente si puo' far ricorso nel caso de quo. L'ente pubblico territoriale sul quale incide il bene oggetto del fatto lesivo, e cioe' il Comune di Rimini, ha, quindi, il potere-dovere di costituirsi parte civile per far valere in nome proprio un diritto dello Stato. La legittimazione a costituirsi parte civile del Comune di Rimini, sul cui territorio incide l'elettrodotto ritenuto dall'accusa causa delle contestate lesioni, deriva anche dal fatto che il suo interesse all'esercizio dell'azione e' equivalente al diritto all'esercizio dell'azione che vanta lo Stato, particolarmente in relazione agli effetti della sentenza. Il Comune di Rimini, quindi, puo' legittimamente costituirsi parte civile nel presente processo (in nome proprio ma per conto dello Stato) sia perche' le ragioni esposte a giustificazione della domanda sono sostanzialmente quelle che avrebbe esposte lo Stato, del quale il Comune deve ritenersi ex lege sostituto processuale, sia perche' gli effetti sperati di un'eventuale sentenza di condanna si estenderebbero al suo diritto alla protezione nei confronti dell'illecito. P.Q.M. respinge le eccezioni sollevate dalla difesa degli imputati relativamente alla legittimazione a costituirsi parte civile del Comune di Rimini e, in accoglimento delle medesime eccezioni, esclude L'associazione W.W.F. e L'Associazione Legambiente Emilia Romagna dal presente processo quali parti civili e riconosce alle dichiarazioni delle associazioni medesime, per il principio di conservazione, la valenza di dichiarazioni di intervento". L'istruttoria dibattimentale proseguiva con l'acquisizione delle prove documentali e l'espletamento delle prove per testi ammesse come dedotte, ed all'occorrenza ai sensi dell'art. 507 c.p.p. Tutti gli imputati contestavano l'addebito e in particolare: * Balli Sergio, pur ammettendo di essere il responsabile della progettazione e della costruzione dell'elettrodotto Forli'-Fano, assumeva di essersi scrupolosamente attenuto alla normativa vigente e di avere utilizzato le migliori tecniche di costruzione avendo cura di creare il minor danno possibile alle popolazioni; * Negroni Alberto e Colucci Elio si dichiaravano estranei al fatto assumendo di essersi limitati rispettivamente ad autorizzare e sottoscrivere il contratto d'appalto senza avere interferito, per difetto di potere, nella progettazione e realizzazione dell'opera; * Cerioli Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano e Brugna Ermanno dichiaravano di essere stati dei meri esecutori avendo realizzato l'opera, interamente progettata dall'E.N.E.L., nel pieno rispetto del progetto e delle direttive dell'azienda committente. Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, all'udienza di discussione del 16 e 17 maggio 1999 le parti concludevano come in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Una pur breve ricostruzione storica dei fatti ed alcune riflessioni etiche appaiono necessarie per un corretto approccio all'analisi giuridica degli elementi costitutivi del delitto per il quale si procede, che e' reato contro la persona e non, come gia' rilevato, reato ambientale. Nell'anno 1990 l'E.N.E.L., dopo una variazione di percorso il cui progetto iniziale vedeva interessata la zona del Colle di Covignano di Rimini, realizza una linea elettrica con imponenti tralicci di ferro che da Forli' a Fano attraversa terreni agricoli ed insediamenti civili gia' all'epoca rispettivamente coltivati ed abitati. Durante la costruzione dei tralicci, le popolazioni penalizzate dal passaggio della linea, verosimilmente anche per il disappunto sulla scelta di un tracciato che svilisce le loro proprieta', ma soprattutto perche' allarmati dalle notizie dei media che riferiscono di indagini scientifiche con esiti contrastanti sugli effetti dannosi per la salute dell'esposizione ai campi elettromagnetici, si attivano con varie manifestazioni di protesta cui fanno seguito tavole rotonde con partecipazione di tecnici e politici locali. Il coinvolgimento dei politici, in particolare, porta il Circondario di Rimini ad affidare ad una Commissione di lavoro, composta da tecnici e medici, lo studio dell'impatto dell'elettrodotto sotto gli aspetti sanitario, tecnico e normativo. La Commissione inizia i lavori in data 3 agosto 1990 con scadenza dicembre 1990 (cfr. relazione conclusiva di sintesi, all. n. 3). Nel frattempo i lavori proseguono senza soluzione di continuita', nonostante le manifestazioni di protesta assumano toni elevatissimi tanto da indurre l'E.N.E.L. ad invocare l'intervento della forza pubblica. Nel settembre 1990, e cioe' quando i lavori di costruzione non sono ancora terminati, alcuni cittadini direttamente interessati al problema presentano al Pretore civile di Rimini ricorso ex art. 700 c.p.c., prospettando il rischio di danno alla salute, ma quel giudice dichiara inammissibile il ricorso perche' non essendo stato ancora attivato l'elettrodotto il pericolo per la salute non e' attuale. In data 15 giugno 1991 il Sindaco del Comune di Rimini emette ordinanza di sospensione dei lavori (all. n. 2) che il T.A.R., su ricorso dell'E.N.E.L., annulla (all. n. 4), dando cosi' via libera alla ricorrente di attivare, in data 27 luglio 1991, l'elettrodotto con una tensione di 380 KV. Vari cittadini, che per ragioni di lavoro e -o- di abitazione stazionano sotto o comunque nei pressi della linea elettrica, cominciano ad avvertire malesseri di varia natura e presentano denuncia querela. Il seguito e' storia di questo processo. Gli elettrodotti sono le grandi linee di trasmissione e di distribuzione di energia elettrica. La corrente elettrica genera campi elettrici e campi magnetici. I campi elettrici (E) sono prodotti dalle cariche elettriche. Essi governano il moto di altre cariche elettriche che vi sono immesse. La loro intensita' viene misurata in volt al metro (V/m) o in chilovolt al metro (KV/m). Il campo elettrico, che dipende dalla tensione in genere costante, non varia ma e' a sua volta costante nel tempo. L'intensita' dei campi elettrici e' massima vicino alla sorgente e diminuisce con la distanza. Molti materiali come legno e metallo costituiscono schermo per il campo elettrico. Quindi all'interno di un'abitazione vicina ad una linea elettrica, anche ad altissima tensione come quella Forli'-Fano, il campo elettrico e' irrilevante perche' ridotto dall'effetto schermante delle pareti e del tetto. I campi magnetici sono prodotti dal moto delle cariche elettriche, cioe' dalla corrente. Ogni volta che una corrente elettrica percorre un conduttore, quindi, genera un campo magnetico. I campi magnetici non subiscono l'effetto schermante e quindi, a differenza dei campi elettrici, penetrano anche nelle case determinando un'esposizione effettiva della popolazione residente in prossimita' di una linea elettrica confrontabile con quella esterna. L'intensita' del campo magnetico non e' costante, come nel caso del campo elettrico, ma e' proporzionale all'intensita' della corrente che lo genera. Percio', sotto una linea elettrica ad altissima tensione, come ad esempio quella dell'elettrodotto Forli'-Fano, il campo magnetico e' decisamente elevato. Ma anche il campo magnetico come il campo elettrico e' un campo di forze la cui intensita' diminuisce all'aumentare della distanza dalla sorgente. L'intensita' del campo magnetico e' generalmente indicata con la lettera H ed espressa in ampere al metro (A/m), ma e' spesso espressa in termini di una grandezza corrispondente (l'induzione magnetica) che si misura in tesla (T). La concatenazione di campi elettrici e campi magnetici determinano nello spazio la propagazione di campi elettromagnetici (C.E.M.). Il sole e la terra sono fonti naturali di campi elettromagnetici ma l'induzione e' innocua anche perche' vicinissa a zero microtesla. Le sorgenti artificiali esterne di campi elettromagnetici si distinguono in sorgenti ad alta frequenza (ripetitori radio-televisivi, ponti radio, antenne per telefonia cellulare, radar ecc.) e sorgenti a bassa frequenza legate all'elettricita' (impianti elettrici, centrali elettriche ecc.). Sono campi a frequenza industriale quei campi elettrici e magnetici, generati dagli impianti per il trasporto e la distribuzione dell'energia elettrica e dai relativi usi industriali e civili, caratterizzati da frequenza inferiore a 300 hertz (Hz = unita' di misura della frequenza). La frequenza adottata e' di 50 Hz in Italia e 60 Hz nelle Americhe. Il termine piu' utilizzato per indicare tali campi e' E.L.F. (Extremely Low Frequencies: frequenza estremamente bassa). Fin dal 1979 si e' via via andata diffondendo la consapevolezza delle turbative ambientali e del rischio per la salute derivanti dall'esposizione a campi E.L.F. Il vertiginoso aumento di domanda di energia elettrica nei paesi ad alto grado di industrializzazione, tra cui l'Italia, ha determinato un'inevitabile lievitazione della produzione e della distribuzione di energia, che avviene quasi esclusivamente attraverso linee di trasmissione aeree, con conseguente incremento del predetto rischio. La costruzione di nuovi e sempre piu' potenti elettrodotti come quello Forli'-Fano troverebbe motivazione, quindi, nel fatto che nessuno riesce piu' a fare a meno degli apparati elettrici ed elettronici. Come dire che l'esposizione ai campi elettromagnetici e' il prezzo del progresso; e' il corrispettivo del benessere che il cittadino deve pagare. Viene allora spontaneo chiedersi se sia piu' giusto favorire le tecniche di costruzione delle linee elettriche, e piu' precisamente le scelte di tracciati ispirate a meri criteri economici di risparmio per rendere competitivo lo sviluppo tecnologico, rispetto a scelte che, nel procedimento di valutazione della convenienza, collocano il criterio etico in posizione di privilegio; e se sia corretto e lecito far pagare il prezzo del generale benessere solo a quei pochi che vivono o lavorano, e non per scelta, in prossimita' degli elettrodotti, o non sia piu' giusto porlo a carico di tutti i consociati in proporzione alla fruizione mediante scelte, magari anche piu' costose come ad es. quelle dell'interramento dei cavi, ma meno onerose per la salute. Il giudice, invero, e' chiamato a dare solo risposte giuridiche e la sua pronuncia deve essere il piu' possibile asettica nel senso che il suo convincimento non deve essere contagiato dalle suggestive prospettazioni dirette o indirette dei media, che, particolarmente in occasione del vivace dibattito sul problema degli effetti sanitari dell'esposizione ai campi elettromagnetici, hanno pubblicizzato soluzioni diverse non sempre affrancate dalle esigenze dello sponsor del momento e, quindi, non sempre imparziali. Tuttavia se si vogliono fornire risposte giuridiche adeguate e corrette non e' dato prescindere dall'aspetto etico del problema. Sull'argomento appare di notevole pregio Il documento congiunto dell'Istituto Superiore di Sanita' e dell'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro del 1998 (all. n. 5), sulla problematica della protezione dei lavoratori e della popolazione dalle esposizioni a campi elettromagnetici, perche' contiene una sintesi delle conoscenze scientifiche e delle valutazioni di sanita' pubblica in proiezione anche politica visto che e' stato richiesto dai competenti ministeri per elaborare la premessa della legge quadro attualmente in discussione in Parlamento. Oltre che per le conclusioni scientifiche, il documento appare meritevole per il rimprovero verso chi, scienziati e non, ha riservato all'aspetto morale del problema un posto marginale, e per l'invito ai politici a non perseverare nell'errore. La strategia suggerita dai due istituti e' fondata saggiamente sul principio cautelativo che impone l'allontanamento della fonte di distribuzione dei campi E.L.F., specialmente dalle fasce piu' vulnerabili della popolazione e cioe' quelle di eta' infantile. E' ovvio che se si sceglie la politica utilitaristica che punta alla massimizzazione del bene e alla minimizzazione dei danni certamente l'incidenza del numero dei bambini morti per leucemia o quello delle persone che soffrono di cefalea e', in termini assoluti, minima. Non e' di certo etico, pero', affermare che la minima incidenza statistica e' bastevole per far ritenere risolto il problema e giustificare l'abbandono della ricerca scientifica. E' evidente che con le sole riflessioni etiche si puo' pretendere di dare risposta al problema ma e' indubitabile che esse hanno il potere di abbattere le barriere che si interpongono fra gli interessi e gli interventi cautelativi. Ed e' ovvio che il giudice nel valutare le diverse posizioni scientifiche non puo' e non deve essere condizionato dalla componente etica ma e' altrettanto ovvio che se questa componente, in termini di inviti alla ricerca finalizzata a vincere le incertezze su cause pregiudizievoli per la salute, viene considerata importante da una parte consistente della scienza, come nel caso di cui trattasi, il giudice non puo' e non deve ignorarla e soprattutto non puo' ignorare nell'iter del suo convincimento il pensiero scientifico di chi la difende. E' stato da piu' parti obiettato che anche in ambiente domestico si trovano numerose sorgenti magnetiche quali rasoi elettrici, asciugacapelli, lampade da tavolo, cucine elettriche, cellulari ecc., che danno origine a campi piu' elevati di quelli determinati da linee e stazioni elettriche. Osserva in proposito il giudicante che, pur prescindendo dall'irrilevanza giuridica dell'obiezione in questa sede (si dira' ad ogni modo piu' avanti dell'esposizione acuta e cronica), il problema di cui trattasi inerisce non tanto all'esigenza di tutelare la salute del singolo fruitore, che e' libero di impiegare lo strumento produttivo del campo elettromagnetico e lo utilizza, come si dice comunemente, a suo rischio e pericolo, quanto piuttosto all'esigenza di tutela di quella parte della collettivita' che e' costretta a subire passivamente onde elettromagnetiche sfruttate da altri. Normativa La tipologia degli interventi legislativi in materia di tutela della salute pubblica dal rischio derivante da fonti sospette e' inevitabilmente legata ai risultati delle ricerche scientifiche. Di conseguenza deve ritenersi pienamente giustificata l'assenza di interventi, e non puo' invocarsi vuoto legislativo, qualora la scienza riesca ad affermare con assoluta certezza l'assenza del rischio per l'accertata insussistenza di indizi sulla nocivita' degli effetti della fonte sospetta. Ma quando le conclusioni scientifiche sono di assenza di certezze negative, quando cioe' si afferma che gli indizi esistono ma non v'e' sicurezza che essi siano dannosi per la salute, la linea del non intervento e' opinabile atteso che nella quasi totalita' dei casi l'indifferenza risponde ad una logica economica, oltre che pericolosa, indiscutibilmente secondaria rispetto al dovere costituzionale di tutela della salute pubblica. Non appare, percio, condivisibile la linea dell'abbandono ancorche' un illustre autore (Edward W. Campion, Deputy Editor della rivista "The New England Journal of Medicine", 3 luglio 1997) - (all. n. 6), si rammarichi per gli sprechi economici cosi' riflettendo: "E' triste che centinaia di milioni di dollari siano stati sprecati in studi che non hanno mai lasciato intravedere alcuna possibilita' di scoprire un modo per prevenire la tragedia del cancro nei bambini. Molti studi, inconsistenti ed incongruenti, hanno generato preoccupazione e paura e non hanno messo il cuore in pace a nessuno. I 18 anni di ricerca hanno causato solo paranoia". Parlare di paranoia per affermare con forza che nessun danno per la salute puo' derivare dall'esposizione a campi magnetici non evidenzia coscienziosita' atteso che, ad esempio, quando ci sottoponiamo anche ad una semplice risonanza magnetica ci isolano come degli appestati; a meno di volere affermare che sono fissati e maniaci anche i medici radiologi. Non e' condivisa, fortunatamente, la riflessione di Edwuard dalla Commissione per la protezione dell'ambiente, la sanita' pubblica e la tutela dei consumatori del Parlamento Europeo che, nella gia' riunione del 5 maggio 1994 (all. n. 7), aveva approvato all'unanimita' la risoluzione di una proposta del 1992 in cui (lett. H.3) si "sollecitavano ricerche supplementari in ambito comunitario sulle incidenze sanitarie risultanti dai campi elettromagnetici". Forse la tristezza dell'illustre autore per lo spreco dei denari e' condivisa da altrettanto illustri scienziati; resta il fatto pero' che, grazie alla tenacia di quelli che credono nella ricerca come strumento indispensabile per vincere l'incertezza, l'incertezza stessa e' andata gradatamente scemando fino a consentire diagnosi attuali, come si vedra' piu' avanti, di sussistenza di nesso di causalita' in termini non piu' di possibilita' ma di probabilita'. Purtroppo gli interventi legislativi cautelari non sono frequenti perche' quasi tutti i Paesi applicano all'incertezza scientifica sulla nocivita' di una sostanza il principio penalistico in dubbio pro reo, quando la ratio dell'intervento cautelare fonda, viceversa, semplicemente sul fumus boni iuris. La prova di quanto sia nociva questa filosofia, forse a lungo termine piu' nociva degli stessi effetti della sostanza, e' fornita dalla vicenda economico-legislativa legata all'amianto. E' notorio come l'utilizzo dell'amianto, nonostante gli allarmanti appelli di alcuni studiosi, si sia rapidamente diffuso per gli innegabili vantaggi economici immediati del suo impiego, e come solo a distanza di quasi sessant'anni dalle prime diagnosi di carcinoma compatibile con il prodotto, il legislatore italiano sia intervenuto mettendo al bando la fibra con la Legge 27 marzo 1992, n. 257. A tali principi fatuamente economici (notoriamente il costo del risanamento e' sempre elevato) e poco etico-giuridici (a volte i danni sono irreversibili quando non letali) e' legata anche la questione relativa ai potenziali rischi sanitari dell'esposizione ai campi elettromagnetici a frequenza industriale (50/60 Hz), verosimilmente sottostimati dai legislatori della maggior parte dei Paesi, Italia compresa. Sul punto appare interessante la riflessione ed il suggerimento del Parlamento Europeo che, nella motivazione della sopra citata risoluzione (all. n. 7), afferma: "Pur non essendo chiaramente delucidati, i meccanismi d'induzione dei danni biologici, si dispone oggigiorno di un numero sufficiente di elementi per adattare le norme e le regolamentazioni muovendo da due principi direttori: * il primo e' quello della precauzione: in caso di dubbio sul livello del rischio, si tratta di adottare l'impostazione piu' conservativa consistente nel minimizzare detto rischio, ricorrendo, eventualmente, all'opzione zero; * il secondo e' il cosiddetto principio A.L.A.R.A. secondo cui una volta fatta la scelta della tecnologica, l'esposizione alle radiazioni dev'essere la piu' debole possibile". Indubbiamente il principio che attribuisce all'incertezza di tali effetti sanitari la giusta ponderazione e' il principio A.L.A.R.A. (As Low Reasonable Avoidable), fatto proprio anche dall'O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanita'), nel quale si consiglia di diminuire al minimo ragionevolmente possibile l'esposizione ad una fonte sospetta. Un importante punto di riferimento normativo sulla protezione dai campi elettromagnetici a bassa frequenza e' costituito dai documenti I.N.I.R.C./I.R.P.A. (Internazional Non Ionizing Radiation Committee/Internazional Radiaton Protection Agency), risalenti ai primi anni ottanta, in cui viene riconosciuta per la prima volta la necessita' di stabilire dei limiti di esposizione acuta dei lavoratori e della popolazione e viene fissato il limite prudenziale di 100 microtesla. E', infatti, a tali documenti che la maggior parte dei Paesi, tra i quali l'Italia, ha fatto fino ad oggi riferimento per legiferare in materia di esposizione a campi E.L.F., con la conseguenza che tutte le normative disciplinano esclusivamente gli effetti sanitari immediati ed ignorano, o disciplinano in maniera incoerente, gli effetti dell'esposizione a lungo termine. Sino alla fine degli anni 80 i provvedimenti legislativi nazionali relativi alla progettazione, costruzione ed esercizio delle linee elettriche nelle aree esterne sono essenzialmente norme di natura tecnica e i piu' rilevanti sono la Legge 28 giugno 1986 (che prevede anche l'adeguamento alla normativa sismica) e il D.M. Lavori Pubblici 21 marzo 1988 (disposizioni in materia di altezze e distanze dei conduttori ove e' stabilito, peraltro, che "nessuna distanza e' richiesta per i cavi aerei"). Sono norme essenzialmente tecniche anche la legge 9 gennaio 1991, n. 9, in materia di impatto ambientale, e il D.M. Lavori Pubblici 16 gennaio 1991 (aggiornamento delle norme tecniche), pur se nella premessa di quest'ultimo si fa un generico cenno al problema sanitario nel senso che si riconosce la possibilita' che gli effetti derivanti dai campi elettromagnetici prodotti dalle linee elettriche aeree incidano sulla salute. La premessa, tuttavia, non influisce sullo spirito del decreto visto che nello stesso vengono confermate sia la precedente statuizione che nessuna distanza e' richiesta per i cavi aerei sia quella che consente il posizionamento dei conduttori sopra i terrazzi e sopra i tetti. La prima ed unica norma, tuttora in vigore, che disciplina gli effetti sanitari dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, e' il D.P.C.M. 23 aprile 1992, che si applica a tutti gli elettrodotti a tensioni superiori a 132 KV a frequenza di 50 Hz e in cui per la prima volta e' prevista un'esplicita prescrizione di protezione e, quindi, di prevenzione. L'art. 4 della legge 23.12.1978, n. 833 (istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale) e l'art. 2, comma 14, della legge 8.07.1986, n. 349 (istitutiva del Ministero dell'Ambiente), attribuiscono al Ministro dell'Ambiente, di concerto con quello della Sanita', il compito di proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri, competente ad emanare eventuali provvedimenti, dei "limiti massimi di accettabilita' delle concentrazioni e dei limiti massimi di esposizione relativi a inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno". Tali limiti risultano fissati, per quanto riguarda la massima esposizione ai campi elettrici e magnetici generati alla frequenza industriale nominale di 50 Hz negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno, dall'art. 4 del citato D.P.C.M. aprile 92 in: * KV/m e 0,1 millitesla (cento microtesla), rispettivamente per l'intensita' di campo elettrico e di induzione magnetica, in aree o ambienti in cui si possa ragionevolmente attendere che individui della popolazione trascorrano una parte significativa della giornata; * KV/m e 1 millitesla (mille microtesla), rispettivamente per l'intensita' di campo elettrico e di induzione magnetica, nel caso in cui l'esposizione sia ragionevolmente limitata a poche ore al giorno. Dalla semplice lettura della norma, emerge come anche il Legislatore Italiano, ispirandosi ai documenti I.N.R.I.C./I.R.P.A., abbia definito i limiti di esposizione con riferimento esclusivo agli effetti sanitari acuti o immediati, ignorando gli effetti dell'esposizione a lungo termine ossia cronici. La tutela rispetto a tali ultimi effetti dovrebbe essere garantita dal successivo art. 5 (distanze di rispetto dagli elettrodotti) il quale stabilisce che, rispetto ai fabbricati adibiti ad abitazione o di altra attivita' che comporta tempi di permanenza prolungati, la distanza da qualunque conduttore di linea a 132, 220 e 380 KV deve essere uguale o superiore rispettivamente a 10, 18 e 28 metri. Per la tutela dall'esposizione a lungo termine, dunque, non sono previsti limiti-soglia ma solo distanze di sicurezza che non sono, come dovrebbero essere se fossero motivate da ragioni sanitarie, la conseguenza logica dei primi. Se, infatti la ratio della previsione fosse la tutela della salute della collettivita', le distanze dovrebbero trovare coerenza con i limiti-soglia ed, anzi, dovrebbero offrire, rispetto a questi, maggiori garanzie. La verita' e' che anche il D.P.C.M. aprile 1992, sbandierato come legge a tutela della salute della collettivita', altro non e' che un aggiornamento della normativa a tutela del danno ambientale. L'art. 7 (risanamenti) sancisce l'individuazione di azioni di risanamento, nei tratti di linee esistenti dove non risultano rispettati i limiti di cui all'art. 4 e le condizioni di cui all'art. 5, mentre l'art 8 prevede l'istituzione di una commissione tecnico-scientifica per l'approfondimento delle tematiche relative ai problemi igienico-sanitario e l'aggiornamento normativo. Le norme tecniche procedurali di attuazione del D.P.C.M. 23.04.1992 sono contenute nel D.P.C.M. 28 settembre 1995 che, nel fissare i criteri di scelta delle azioni di risanamento, modifica il disposto di cui all'art. 7 del D.P.C.M. aprile 92 prevedendo una prima fase in cui per il risanamento del precedente non si debba piu' fare riferimento all'art. 5 (distanze) ma solo ai valori-soglia di cui all'art. 4. Tale ultima disposizione, che solo nominalmente e' norma di attuazione mentre in realta' e' norma sostanziale nuova visto che incide, ed anche in maniera grave sui criteri di risanamento, offre ampia motivazione sul perche' dell'uso del condizionale a proposito delle garanzie di cui all'art. 5 ed evidenzia come ancora una volta la politica del risparmio abbia prevalso sull'esigenza di tutela della salute. Che tale apprezzamento non sia una semplice illazione si ricava dalla deposizione del presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa il quale, rispondendo alle parti civili che chiedevano lumi sulle azioni di risanamento, cosi' afferma: "Le linee aeree preesistenti sono piuttosto fastidiose dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Non saremmo obbligati a farlo, lo vorremmo fare se riusciamo anche a trovare un accordo per quanto riguarda gli aspetti tariffari, perche' purtroppo demolire una linea costa quasi come costruirla (trascr. ud. 3.10.1997, pag. 62-63) e i costi per l'interramento dei cavi si stima che siano 30 - 40 volte superiori ai costi che servono per le linee aeree" (pag. 66-67). E per comprendere la portata della modifica normativa basta considerare che il valore-soglia stabilito per legge e' di 100 microtesla mentre sotto una linea a 380 KV, in corrispondenza della massima altezza da terra dei conduttori, stabilita dal D.M. 16.01.1991 in 11,34 metri, si misura un campo magnetico da 20 a 22 microtesla. Come dire che, siccome il valore-soglia stabilito per legge non si riscontra neppure in coincidenza del punto di massima produzione del campo, gli elettrodotti come quello Forli'-Fano per il momento non meritano l'attenzione delle azioni di risanamento perche' non turbano l'ambiente; e cio' non perche' non sono perniciosi per la salute umana, ma unicamente perche' i costi sarebbero elevatissimi. Pur prescindendo dall'inidoneita' cautelare delle distanze previste dall'art 5, di cui meglio si dira' piu' avanti, infatti, non si intravede nel provvedimento legislativo una ragione, diversa dalla gestione dei costi compatibile con l'impatto ambientale, che giustifichi la differente disciplina delle linee nuove rispetto a quelle da risanare, senza ignorare il palese contrasto tra la riconosciuta "necessita' di fissare limiti per l'esposizione della popolazione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti" (cosi' si legge in premessa) e il successivo distinguo che nega ad alcuni di quella stessa popolazione, gia' penalizzata dalla preesistenza dell'elettrodotto, il diritto alla tutela della salute derivante dall'eventuale parziale risanamento. La conferma che la ratio della norma non e' la tutela della salute dei cittadini bensi' la tutela dell'ambiente, si evince anche dalla palese incongruenza del combinato disposto degli artt. 4 e 5. Premesso, infatti, che il criterio guida dovrebbe essere quello del valore-soglia perche' di maggiore protezione, e non viceversa, non si comprende come possano essere definite di sicurezza delle distanze quando a priori si sa per certo che all'interno di esse e' sempre riscontrabile un valore altamente superiore a quello soglia. Un problema che si sono evidentemente posto ed hanno cercato di risolvere le Regioni Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Sicilia e Basilicata. La prima, infatti, ha approvato una legge, poi sospesa, e le altre hanno presentato proposte di legge, in cui sono previste, in relazione all'esposizione cronica, distanze non inferiori a 150 metri da linee a 380 KV e comunque fissato un valore-soglia di 0,2 microtesla oltre il quale studi epidemiologici avevano riscontrato un rischio di leucemia infantile. Ma prima ancora il problema se l'era posto l'attuale presidente dell'E.N.E.L., dott. Enrico Testa, in data 28 settembre 1993, quando cioe' ebbe a presentare, quale Deputato della Repubblica Italiana, unitamente agli Onorevoli colleghi Scalia, Mattioli, Turroni, Ronchi, Giuliari, Grassi e Strada, (tutti Verdi e Ronchi anche attuale Ministro dell'Ambiente), una proposta di legge dal seguente titolo: "Nuove norme in materia di elettrodotti a tutela dell'igiene e della sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro" (all. n. 8). La proposta, proprio in ragione dell'incoerenza e delle lacune del D.P.C.M. aprile 92, da' risalto all'inefficacia, ai fini della prevenzione dagli effetti a lungo termine, dei limiti previsti espressamente per gli effetti a breve termine, e prospetta la riduzione del limite-soglia da 100 microtesla (limite come gia' rilevato assurdo perche' mai raggiungibile all'interno delle distanze cosiddette di sicurezza) a 0,2 microtesla come consigliato da molti ricercatori. E' auspicabile, quindi, la rapida approvazione del disegno di legge quadro sull'inquinamento elettromagnetico, AC 4816 (all. n. 9), tra i cui scopi e' indicato come precipuo (art. 1) quello della "tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dall'esposizione a campi elettromagnetici" in armonia con il principio costituzionale di cui art. 32 della Costituzione. Preliminare all'analisi di ciascuno degli elementi costitutivi del reato e' anche l'esame della posizione degli imputati Negroni Alberto e Colucci Elio, rispettivamente direttore generale e direttore centrale approvvigionamenti dell'E.N.E.L., quale e' emersa dall'istruttoria dibattimentale. Il primo ha dato l'autorizzazione a firmare e il secondo ha materialmente firmato il contratto d'appalto senza partecipare o interferire sulla progettazione e realizzazione dell'elettrodotto Forli'-Fano, ne' avrebbero potuto con la interposizione della loro volonta', per regole statutarie, impedire la costruzione ovvero incidere sulla scelta del tracciato. Consegue che gli stessi vanno mandati assolti dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto. Condotta I primi sospetti di nocivita' per la salute associata all'esposizione a campi E.L.F., generati da linee elettriche ad alta tensione, risalgono ad oltre trent'anni fa e negli ultimi venti hanno formato oggetto di numerosi studi a livello nazionale ed internazionale. Proprio vent'anni fa l'Istituto Superiore di Sanita' ebbe a mettere a punto una prima normativa nazionale sull'esposizione a campi magnetici, e nel 1994 il Parlamento Europeo evidenziava come da oltre un ventennio si era andata diffondendo la consapevolezza delle loro turbative a livello sanitario (all. n.7, pag.7). Agli inizi degli anni novanta, epoca di costruzione dell'elettrodotto Forli'-Fano, Il quadro della letteratura scientifica sugli effetti dell'esposizione a campi elettromagnetici era, come meglio si chiarira' piu' avanti, un quadro di incertezza che comunque suscitava allarme, tant'e' che i piu' importanti organismi internazionali invitavano alla cautela e consigliavano distanze prudenziali nella costruzione delle linee elettriche. Ragioni di prudenza, quindi, richiedevano ancor prima dell'epoca dei fatti "de quibus" che nei progetti di costruzione degli elettrodotti, e in particolare nella scelta dei tracciati, si tenesse conto soprattutto della presenza, come nel caso di specie, di insediamenti civili e produttivi. Sostiene l'imputato Balli che "la linea era essenziale; ce n'era un'altra che aveva dato pessimi risultati, era franata piu' volte a monte. Quindi la linea doveva essere fatta". Anche senza alternativa di tracciato? E' lecito sostenere che una linea essenziale (per chi?) deve essere realizzata persino facendola passare sulle abitazioni in presenza anche di semplici sospetti sugli effetti nocivi dell'esposizione ai campi magnetici? E' legittimo, oltre che morale, sostenere che gli elevati costi dell'interramento dei cavi a fronte dell'incertezza sugli effetti dannosi dell'esposizione non giustificano tale scelta? L'imputato Balli, confortato, a suo dire, dalla documentazione prodotta, asserisce: * il progetto, improntato alla massima correttezza, e' stato realizzato utilizzando tutta la documentazione disponibile ed in particolare carte geografiche, piani regolatori, vedute aero fotogrammetriche, dati sulla staticita' dei terreni e, componente non trascurabile, il consenso delle amministrazioni comunali; * nella costruzione dell'elettrodotto e' stata utilizzata la migliore tecnica disponibile e che un altro tracciato non era possibile cosi' come non era possibile, anche in ragione della sovra popolazione della zona, realizzare la linea senza danneggiare qualcuno. Come dire che un danno, pur se preventivato, era inevitabile. Ben si intuisce che l'imputato Balli quando parla di danno preventivato non si riferisce a danni per la salute, che egli escludeva allora ed esclude oggi, come si dira' piu' avanti, perche' altrimenti diversa sarebbe stata la qualificazione giuridica del fatto contestato. Tant'e' che all'udienza del 6.06.1997 (trascr., pag. 21) dichiara testualmente: "La legge fondamentale per le linee dice che si devono fare i tracciati nel modo meno pregiudizievole possibile della proprieta' servente, ma certamente permette, in caso di necessita', di passare sopra le case". In tale affermazione c'e' la chiave di lettura dell'atteggiamento dell'E.N.E.L., il cui approccio al problema appare palesemente viziato dall'erronea prospettazione della direzione dei preventivati danni, per cui, prima di valutare le dichiarazioni del Balli afferenti alla progettazione, costruzione ed attivazione dell'elettrodotto, appaiono opportune due precisazioni: a) il diritto alla tutela della salute sancito dall'art. 32 della Costituzione costituisce un limite invalicabile anche per l'invocata facolta' per legge di passare sopra le case (che comunque non va confusa con l'arbitrio); b) il rimprovero mosso agli imputati nel caso di specie non e' quello di avere sconvolto con il loro comportamento negligente ed imprudente l'aspetto territoriale della zona o di avere determinato il deprezzamento degli immobili di Siliquini e Giovagnoli bensi' quello di avere per colpa cagionato ai medesimi lesioni personali. Ritornando alle affermazioni del Balli si osserva che esse non trovano riscontro nelle prove documentali e testimoniali fornite dall'accusa le quali, anzi, in buona parte le smentiscono. L'arch. Domenico Elena, responsabile del settore programmazione e pianificazione del Comune di Rimini e componente, unitamente all'ing. Ariano Mantuano, dott. Paolo Bevitori e dott. Mauro Stambazzi, della citata Commissione istituita dal Circondario di Rimini con compiti ricognitivi sul tracciato dell'elettrodotto, infatti, dopo aver rilevato che il tracciato stesso era stato realizzato fondando le scelte su una vecchia carta militare del 1948, osserva che (all. n.10), sulla base della documentazione acquisita e dei rilievi effettuati dalla Commissione, era possibile la scelta di un percorso alternativo e in alcuni casi, in particolare, era possibile con modesti spostamenti far passare la linea anziche' agli attuali 20 30 metri anche oltre i 100 metri dai fabbricati esistenti (cfr. anche trasc. ud. 11.04.97, pagg. 31 e segg.). Tali osservazioni trovano parziale riscontro nella deposizione del teste indotto dalla difesa Vladimiro Marano, dipendente dell'E.N.E.L. con la qualifica di capo sezione di istruttorie ed espropri, dalla quale si ricava anche la conferma della citata erronea prospettazione da parte dell'E.N.E.L. della direzione dei danni. Il teste Marano, infatti, riferisce che l'E.N.E.L. aveva recepito e risposto positivamente alle lamentele di una parte della popolazione (quelli, per intenderci, residenti nella zona di Covignano) apportando, per ragioni ambientali, la modifica del tracciato nella sua attuale realizzazione (trascr. ud. 3.10.1997, pagg. 29 e segg.). La scelta dei tracciati, dunque, non e' sempre improntata, come vuol far credere l'imputato Balli, a criteri d'indagine scientifica e obiettiva, se e' vero come e' vero che in quel caso per l'originario tracciato e' stata trovata l'alternativa per ragioni ambientali mentre nel caso di specie, ignorando totalmente le doglianze connesse al rischio per la salute, no. Dobbiamo dedurre, quindi, che nel caso di specie la scelta e' caduta sull'attuale tracciato privilegiando la questione ambientale alla questione salute. E non va ignorato che le varie manifestazioni di protesta della popolazione hanno sortito il solo effetto di fare intervenire la polizia per imporre la prosecuzione dei lavori, e che neppure l'intervento coercitivo del Sindaco del Comune di Rimini, in difesa del diritto alla salute dei cittadini, e' riuscito ad arrestare il fermo proposito dell'E.N.E.L. Non pare, quindi, sorretto da verita' storica l'assunto dell'imputato Balli circa la correttezza e la ragionevolezza usate verso i cittadini e la collaborazione cercata con il Comune di Rimini nella scelta del tracciato. Cosi' come appare superflua ogni valutazione sull'asserito consenso delle amministrazioni comunali, ed in particolare del Comune di Rimini, se solo si pone mente alla citata ordinanza di sospensione dei lavori proprio del Sindaco di quel Comune (all. n. 2) e se ne riscontra la presenza in questo processo come parte civile. Ne' puo' ritenersi giuridicamente rilevante, ai fini del presente processo, l'assunto che i lavori sono stati licenziati con decreti del Ministro dei Lavori Pubblici (all. n.ri 11 e 12) perche' negli stessi mai si fa riferimento a criteri di salvaguardia della salute ed anzi le autorizzazioni risultano rilasciate con l'espressa previsione della "salvezza dei diritti dei terzi e dell'assunzione di responsabilita' da parte dell'E.N.E.L. in ordine ad eventuali danni comunque cagionati alle persone" (art. 5 di entrambi i decreti). Nella nota 30 ottobre 1992, accluso all'incidente probatorio (all. n. 13), l'ing. Ariano Mantuano riferisce che il tracciato dell'elettrodotto Forli'-Fano e' stato costruito a pochi metri dalle abitazioni disattendendo le direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' che, in via prudenziale, consigliava di applicare il citato principio A.L.A.R.A. e cioe' di costruire linnee elettriche della potenza come quella "de qua" il piu' lontano possibile dalle case e comunque ad una distanza minima di 100 200 metri per assumere il minor rischio possibile. I risultati delle misurazioni fatte da Stambazzi e Bevitori (tecnici della citata commissione del Circondario di Rimini) evidenziano, nella loro relazione acquisita in sede di incidente probatorio, come la linea sia stata fatta passare a distanza non superiore ai 50 metri dalle gia' esistenti abitazioni facenti parte del campione rappresentativo utilizzato per l'indagine e, in particolare, rispettivamente a 18 e 30 metri dalle abitazioni delle parti civili Siliquini Luigi e Giovagnoli Raffaele. Non va ignorato in proposito che gia' nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 89 (Istituto Superiore di Sanita' - Lineee ad alta tensione: modalita' di esposizione e valutazione del rischio sanitario - all. n. 14, pag. 23), dopo avere dato atto del collegamento diretto tra la rapida diminuzione dell'andamento dei campi elettrici e magnetici e la distanza laterale dei conduttori, si affermava testualmente: "Questo comporta che la zona rilevante ai fini dell'esposizione e' limitata ad una fascia che si estende, su entrambi i lati dal centro della linea, solo fino a distanze pari a due o tre volte l'altezza dei conduttori". L'altezza dei conduttori dell'elettrodotto a 380 KV Forli'-Fano e' di metri 11,50, quindi, anche solo seguendo le raccomandazioni I.S.T.I.S.A.N. la linea doveva passare ad una distanza superiore ai 30 metri. All'udienza dell'11 aprile 1997 (trascriz., pagg. 14 e segg.) i tecnici Stambazzi e Bevitori confermano le indagini, durate circa un anno, eseguite su incarico dell'allora P.M.P., oggi A.R.P.A., di cui e' nota anche in campo nazionale la perizia dei componenti il servizio, ed evidenziano come nelle quindici abitazioni di proprieta' degli originari querelanti, tra le quali quelle delle attuali parti civili Siliquini e Giovagnoli, i valori medi di induzione magnetica nelle 24 ore fossero compresi tra un minimo di 1,5 e un massimo di 2 microtesla. A pag. 4 della citata relazione conclusiva di sintesi della commissione del Circondario di Rimini del 22 aprile 1991 (all. n. 3), si legge testualmente: "Emerge la necessita' di adottare i livelli limite di esposizione inferiori ai valori indicati dalle ricerche scientifiche come rischiosi nei casi di popolazioni che siano in permanenza continuativa esposte ai campi come nei casi esaminati". Giova ricordare che i limiti di valore-soglia indicati dalla maggior parte delle ricerche nazionali ed internazionali erano gia' fissati all'epoca in 0,2 microtesla, e che cosi' l'attuale presidente dell'E.N.E.L. li proponeva nel citato suo disegno di legge del 1993. L'evidente disinteresse personale e l'acclarata competenza dei componenti della Commissione istituita dal Circondario di Rimini escludono ogni ragionevole dubbio sull'obiettivita' nella raccolta ed elaborazione dei dati e sull'autorevolezza dei pareri espressi. Quindi, quando nel luglio 1991 viene attivato l'elettrodotto, l'E.N.E.L. conosce tali risultati che evidenziano valori medi superiori a quelli che, come si dimostrera' piu' avanti, anche l'informazione scientifica disponibile indica come rischiosi per patologie che risentono dell'esposizione prolungata anche a piccole dosi. Ammesso che sia provato, sostiene la difesa del Balli, Il rischio per la salute sussisterebbe egualmente, ed anzi probabilmente sarebbe anche maggiore, se i cavi venissero interrati perche' comunque non si potrebbe andare in profondita' tali da scongiurare il pericolo. Non la pensa cosi', anzi piu' precisamente cosi' non la pensava l'attuale presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa in data 28 settembre 1993, quando cioe' ebbe a sottoscrivere il gia' citato disegno di legge (all. n. 8). La circostanza impone un anticipo di quanto si dira' trattando del nesso di causalita' sotto l'aspetto scientifico. Nel presentare la proposta alla Camera dei Deputati il presidente Testa cosi' letteralmente scriveva: "Onorevoli Colleghi! In tutta Europa e nel mondo si va sempre piu' diffondendo - non solo nell'opinione pubblica ma anche negli ambienti scientifici - un vivo allarme per i pericoli che possono derivare alla salute delle persone dall'esposizione ai campi elettrici e magnetici diffusi nell'ambiente. Una delle fonti di tali campi e' la tecnologia impiegata per il trasporto della corrente elettrica. I campi elettromagnetici (C.E.M.) generati dalla trasmissione di corrente elettrica alternata a bassa frequenza (Extremely Low Frequency, E.L.F.), infatti, presentano livelli di intensita' e caratteristiche tali da interferire nei piu' delicati meccanismi della vita cellulare. In materia di elettrodotti ad alta ed altissima tensione va ricordato - per dare un'idea della rilevanza della questione - il progetto, concordato tra le compagnie elettriche europee, di una rete continentale ad altissimo voltaggio (Extremely Higth Voltage, E.H.V.), che consentira' la trasmissione per cavi aerei della corrente elettrica alternata, con frequenza di 50 Hz con differenza di potenziale intorno ai 400 mila volt. Un ormai cospicuo numero di lavori scientifici, basati sia su indagini epidemiologiche che su ricerche di laboratorio, fanno ritenere fondata l'ipotesi della mutagenicita' dei campi elettromagnetici generati da elettrodotti, con rischi conseguenti per la salute di quanti a tali campi sono inconsapevolmente esposti per la localizzazione di abitazioni, scuole, luoghi di lavoro e simili, prossimi alle linee elettriche. Rischi che le indagini epidemiologiche finora effettuate prospettano particolarmente rilevanti per quanto riguarda la leucemia infantile nonche' dei tumori del sistema nervoso. Allo stato attuale delle conoscenze non e' possibile stabilire con certezza quali siano i limiti di esposizione ammissibili, efficaci sotto l'aspetto della prevenzione primaria. Tuttavia le conoscenze fin qui' acquisite hanno indotto autorita' scientifiche di prestigio internazionale come David Carpenter, preside della scuola di medicina dell'Universita' di New York, a dichiarare che per quanto riguarda i campi elettromagnetici ci sono conferme sufficienti per cominciare a sventolare bandiera rossa". Dopo aver evidenziato come "analoghi inviti e raccomandazioni alla prevenzione (per quanto riguarda il futuro) e alla bonifica ambientale (per quanto concerne le linee elettriche gia' in esercizio) provengano dal Karolinsk Institut di Stoccolma e dall'E.P.A. (Ente federale statunitense per la protezione ambientale", il presidente Testa afferma: "Le principali misure preventive sono oggi costituite dall'adozione di tracciati che consentano di rispettare idonei limiti di distanza dalle abitazioni e dagli altri luoghi di permanenza prolungata delle persone, nonche' dall'impiego di tecnologie di trasporto della corrente alternative alla trasmissione per cavo aereo, come quella per cavo sotterraneo. L'impiego dei cavi sotterranei e' certamente piu' dispendioso di quello dei cavi aerei, ma sul medio e lungo termine consente risparmi nei costi di manutenzione e di sostituzioni tali da renderli fin d'ora convenienti: se a cio' si aggiunge che i cavi sotterranei di regola comportano un minore impatto ambientale e paesaggistico, si puo' prevedere che in futuro essi incontreranno un favore crescente. I maggiori costi che le compagnie elettriche dovrebbero sopportare non giustificano in ogni caso la sottovalutazione dei rischi per la salute pubblica, specie in ordine agli effetti cronici che potrebbero derivare dall'esposizione inconsapevole delle persone ai campi elettromagnetici". Coerentemente con tali osservazioni il presidente Testa propone (art. 7: azioni di risanamento) l'interramento dei cavi delle linee elettriche che comportano un'esposizione superiore a 0,2 microtesla (art. 3 della proposta) pena la disattivazione. L'autorevolezza della fonte di tali affermazioni offre ampie garanzie di attendibilita' e vale da sola a smentire anche su questo punto l'assunto dell'imputato Balli. Evento Sia le odierne parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, sia le originarie parti lese Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, e Pasquini Angela, estromesse come tali dal processo per le ragioni processuali di cui alla sentenza 14 novembre 1997 (all. n. 1), sentiti quali testi, riferiscono in modo unanime di avvertire sintomi di cefalee, vertigini, pesantezza di testa, malessere diffuso, irritazioni epidermiche e degli occhi, insonnia, in concomitanza con il loro permanere nelle zone (abitazioni o luogo di lavoro) vicine alla linea dell'elettrodotto Forli'-Fano e per tempi prolungati (trascr. ud. del 24 gennaio 1997). Analoga sintomatologia dichiarano, alla stessa udienza, di avvertire anche i testi Siliquini Marco, che abita con il padre Siliquini Luigi, Quadroni Silvano, che lavora un terreno attraversato dall'elettrodotto e Bernabe' Mario, che risiede e lavora a circa 40 metri dall'elettrodotto. Relativamente ai due querelanti superstiti nel presente processo, il collegio peritale, in risposta al primo quesito, cosi' conclude: * "Giovagnoli Raffaele risulta affetto da crisi di cefalea gravativa e nervosismo in soggetto con lieve aumento della proteinemia totale e delle immunoglobuline e modesta ipertensione arteriosa. * Siliquini Luigi risulta affetto da sindrome vertiginosa e cefalea in soggetto portatore di artrosi cervicale. A tali conclusioni il collegio peritale, il cui metodo d'indagine risulta essere stato concordato con i consulenti tecnici delle parti, giunge "alla luce delle risultanze anamnestiche e cliniche obbiettive, strumentali e di laboratorio di quindici periziandi tra i quali Giovagnoli Raffaele (pagg. 30-33) e Siliquini Luigi"(pagg. 81-84 della perizia). Sostengono i consulenti tecnici dott. Enrico Pira e prof. Carlo La Vecchia che le conclusioni del collegio "appaiono infondate e prive di ogni ragionevole supporto scientifico" perche': * "sono stati disattesi i comuni principi che conducono alla formulazione diagnostica, attraverso l'accurata valutazione dei casi"; * "la definizione di sindrome cefalgica piu' o meno simile come lesione e' singolare e non trova precedenti in ambito legale". Dopo aver rilevato come la definizione diagnostica sia completamente errata nella forma e nella sostanza e l'elaborato peritale contenga una serie di macroscopiche incongruenze (cfr. anche: considerazioni sulla perizia all. incidente probatorio, pag.3), i consulenti passano, attraverso la discussione clinica dei casi Siliquini e Giovagnoli (pagg.9-11), alle considerazioni medico-legali (pagg. 12-14). In queste ultime i consulenti prendono spunto dal passo dell'elaborato peritale, in cui si afferma che "alle sindromi cefalgiche accertate non fa seguito un conseguente apprezzabile stato di malattia", per evidenziare l'incongruenza dell'affermazione atteso che i concetti di lesione e di malattia non possono essere disgiunti e la malattia e' elemento essenziale della definizione penalistica della lesione. In ogni caso, osservano i consulenti (pag.14), e quindi a prescindere dell'ammissibilita' della lesione in assenza di malattia, la cefalea non puo' essere considerata malattia nel corpo e nella mente in quanto, in ambito medico-legale, si ritiene che la malattia somatica "e' rappresentata da qualunque processo patologico che leda l'integrita' fisica della persona nel quale rientrano, secondo l'interpretazione rigorosa della legge fatta propria dalla giurisprudenza, anche i fatti clinicamente tenui (N.d.R. ma obiettivabili) quali le echimosi, le escoriazioni e le graffiature, che pertanto non possono considersi percosse"(C. Puccini, Istituzioni di Medicina Legale, pagg. 279-280, 1995). La malattia mentale da lesione personale, inoltre, comprende "ogni alterazione delle facolta' psichiche, da qualsiasi causa prodotta, purche' abbia i caratteri di un fatto patologico, anche transitorio, identificabile con uno dei quadri classici della psichiatria o colle ripercussioni mentali di una malattia somatica. Ne sono esclusi, percio', i semplici stati emotivi (spavento, collera) incapaci di modificare in modo sostanziale il corso dell'attivita' cerebrale, a meno che la loro intensita' raggiunga livelli tali da determinare disturbi di significato patologico" (C. Puccini, cit.). Pare di capire che le osservazioni dei consulenti sono incentrate principalmente sul quadro biopatologico presentato dalle due persone esaminate sotto due angolazioni, e precisamente se il quadro sintomatologico possa rappresentare una lesione e nell'ipotesi di risposta affermativa se si possa parlare di malattia in senso penalistico. Giova pertanto premettere alcuni dati relativi al concetto di malattia. E' pacifico che quando si parla di malattia si fa genericamente riferimento ad una condizione contraria ed opposta a quella di salute. Della malattia si puo' citare una lunga serie di definizioni che vanno dal concetto filosofico a quello scientifico che ha seguito l'evoluzione delle conoscenze dal pensiero di Democrito (quarto secolo a.C.) al positivismo scientifico di Claude Bernard (diciannovesimo secolo d. C.) che ha aperto l'era della medicina moderna. La definizione ontologica o sostanziale di malattia che viene data attualmente dal patologo generale G. De Marco e' "l'insieme delle deviazioni, funzionali o strutturali, indotte da stimoli esogeni o endogeni, capaci di alterare le condizioni di equilibrio funzionale e strutturale nel quale i fenomeni vitali si svolgono in maniera ottimale". Anche la definizione medico-legale di malattia ha subito una sua evoluzione e si e' passati dal concetto espresso dal Pellegrini (disfunzionalita' essenziale di cui sono in atto le cause), a quello del Leoncini (stato anormale dell'organismo in via di evoluzione con o senza alterazioni anatomiche appariscenti, accompagnato da disturbi funzionali o generali, dipendenti sia dall'azione di un agente lesivo, sia dalla reazione di difesa e di riparazione da parte dell'organismo); da quello del Palmieri (qualunque processo morboso in evoluzione produttivo di un apprezzabile danno alla salute) a quello di Cazzaniga (sequenza di fenomeni che realizza quel complesso di azioni e reazioni che costituiscono l'organismo in uno stato anormale, essenzialmente caratterizzato da perturbazioni funzionali, associate oppure non, a modificazioni anatomiche e a sofferenze subiettive), fino a giungere ai concetti (civilistici) di danno alla persona, di danno biologico o danno evento (qualsiasi menomazione dell'integrita' fisica della persona: concetto medico-legale) e di danno alla salute o danno conseguenza (riduzione del benessere psico-fisico e sociale: concetto giuridico, Corte Cost. Sent. 186/1986). Concetto quest'ultimo che si richiama al principio di tutela del bene-salute espresso nel preambolo della Costutuzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' nel quale il bene-salute, appunto, e' indicato come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. In materia penale, la malattia, nel senso medico-legale, e' condizionata dalla sussistenza di evento lesivo; deve, cioe', essere conseguenza di una lesivita', intendendo per lesivita', avuto riguardo ai concetti dianzi enunciati, l'insieme dei fatti che incidono dannosamente sull'integrita' psicosomatica umana. E' pacifico in letteratura che le cause o azioni lesive si distinguono in: * azioni per energia fisica (meccanica, barica, termica, sonora, elettrica, radioattiva, fotica); * azioni per energia chimica (chimica, biochimica, combinata); * azioni per energia biodinamica (determinismi non riconducibili a modificazioni fisiche o chimiche apprezzabili, come ad es. stress psichici). Ed e' altrettanto pacifico che la causa lesiva non deve avere necessariamente caratteri di causa traumatica in senso stretto; infatti dall'elenco che precede si deduce che possono provocare lesioni con conseguente malattia anche le cause di natura psichica, sonora, fotica ecc. Ritornando alle osservazioni dei consulenti Pira e La Vecchia, con riferimento alla citazione delle sopra riportate definizioni del Puccini ed in particolare a quella della malattia mentale da lesione personale, appare di tutta evidenza come lo scopo della prospettata distinzione fra malattia somatica e malattia mentale sia quello di far rientrare la cefalea, quadro comune a Siliquini e Giovagnoli, nel secondo caso, cioe' nelle malattie della mente. Ma le cefalee sono quadri patologici somatici e non psichici: sono affezioni, infatti, delle quali si trova la trattazione nei testi di patologia medica e in quelli di neurologia, non in quelli di psichiatria. Di conseguenza i consulenti avrebbero dovuto applicare alla cefalea la riportata definizione di malattia somatica, senza naturalmente la N.d.R., ma obiettivabile, maliziosamente aggiunta. La cefalea altro non e' che un'alterazione del circolo cerebrale e come tale ben puo' costituire lesione ed integrare il concetto clinico di malattia in senso medico-legale se comporta un'apprezzabile riduzione di funzionalita' (cfr. Cass. Pen. sez.IV, sent. 9.12.1996, n. 10643, rv. 207339, in cui peraltro si afferma che alla riduzione puo' anche non corrispondere una lesione anatomica). E cio' a prescindere, per i principi sopra esposti, che dipenda o meno da azione traumatica. Sull'analisi della difesa circa l'improponibilita' di un'ipotesi di lesione cui non faccia seguito un accertabile stato di malattia del quale possa indicarsi la durata e l'evoluzione futura, osserva il giudicante che anche l'alterazione temporanea puo' costituire lesione e considerarsi malattia, e che l'intermittenza di essa, come nel caso di specie, puo' ben costituire, se dimostrata, l'effetto permanente del reato di lesioni colpose gravi, che cessa con l'interruzione dell'attivita' criminosa. Quanto poi alla concreta sussistenza dell'evento lesivo in danno di Giovagnoli Raffele e Siliquini Luigi, contestata dai consulenti e dalla difesa perche' fondata su elementi non obiettivabili, osserva il giudicante che la consistenza probatoria dell'elaborato peritale trova riscontro sia nei dati storici accertati in altre circostanze simili a quelle delle due parti lese, sia nella deposizione dei testi. Premesso che e' pienamente legittima l'utilizzazione da parte del giudice dell'intera indagine peritale se finalizzata, come in questo caso, alla valutazione degli elementi probatori - attraverso i quali soltanto puo' crearsi quel libero convincimento che costituisce l'essenza di ogni decisione - si osserva che, su quindici casi esaminati dal collegio peritale, undici persone sono state riscontrate affette da sindrome cefalgica. Riferisce il perito Olivieri (trascr. ud. 22.11.96, pag. 23) che "il quadro d'indagine si presentava piuttosto vario e raccontato in maniera diversa da paziente a paziente che pero' andava a finire in un quadro simile". Il dato e' apprezzabile, dunque, non tanto per la consistenza statistica, che pure e' ragguardevole, quanto per la riferita varieta' del quadro che consente di valutare ciascuna delle singole sintomatologie soggettive come svincolata dalle altre e, quindi, non ricollegabile ad un quadro di suggestione collettiva, come sostenuto dai consulenti tecnici. Tutti i testimoni, inoltre, chi piu' chi meno, hanno riferito in sede d'indagine peritale circostanze di anamnesi familiare che di regola si tende a tenere nascoste per ragioni di pudore, come ad es. la morte per infezione sospetta all'eta' di 24 anni della sorella di Severi Vincenzo. Le parti civili Siliquini e Giovagnoli hanno addirittura riferito pregresse patologie, altrimenti non facilmente conoscibili, tanto negative per loro che i consulenti di parte avversa, come di dira' piu' avanti, le hanno utilizzate per dimostrarne l'efficienza causale unica delle lamentate lesioni. Appaiono, percio', del tutto ingiustificati i dubbi sull'attendibilita' soggettiva di Siliquini e Giovagnoli, persone interessate al processo, e le loro deposizioni, assimilabili alle testimonianze, possono ben costituire idonei mezzi di prova anche perche' le verita' riferite trovano puntuale riscontro nelle deposizioni degli altri testi e conforto nell'elaborato peritale. Nesso causale Al quesito sulla sussistenza del nesso di causalita' il collegio peritale cosi' risponde: "Alla luce delle conoscenze scientifiche attuali relative ai campi magnetici non si puo' escludere nesso eziologico rispetto al campo magnetico". Si legge in perizia (pag.10 ): "L'esposizione a campi elettromagnetici di intensita' compatibile con quelli generati dagli elettrodotti, e' stata messa in relazione con la comparsa di diversi effetti sulla salute, raggruppabili a fini pratici in tumorali e non tumorali". - Profili scientifici L'inizio dello studio degli effetti sulla salute da esposizione a campi magnetici risale agli anni 50 allorche' Wertheimer N. e Leeper E. (Electrical wiring configuations and childhood cancer, American Journal of Epidemiol, 1979) indagarono il rischio oncogeno associato all'esposizione a campi E.L.F. considerando i casi di tumori infantili verificatisi a Denver negli anni 1950-73 tra i residenti in un raggio di 40 metri da linee elettriche. Quantunque vivamente criticata a causa delle carenze metodologiche nella determinazione dei campi magnetici coinvolti e dei livelli di esposizione, detta pubblicazione fu tuttavia ribadita da David Savitz ed altri nel 1987 (Case-control study of cildhood cancer and exposure to 60 Hz electric and magnetic fields, American Journal of Epidemiol, 1988) che, per conto del Dipartimento di ricerca e sanitario dello Stato di New Jork e col supporto finanziario dei produttori di elettricita', si erano prefissi di verificare i risultati inquietanti ottenuti da Wertheimer e Leeper. Ed e' a seguito di una pari indagine sulla popolazione adulta, sempre di Denver, (Adult cancer related to electrical wires near the home, International Journal of Epidemiol, 1982), che molti scienziati cominciarono a prendere sul serio il problema e i piu' ben presto abbandonarono l'iniziale prudenza lanciando preoccupanti appelli come quello, in precedenza citato, di David Carpenter che gia' alla fine degli anni ottanta invitava dalla sua cattedra universitaria di New York ad alzare bandiera rossa nei riguardi dei campi elettromagnetici. Negli ultimi vent'anni sono stati svolti numerosi studi epidemiologici e le rassegne aggiornate della letteratura scientifica sono state curate da David Savitz (Overview of epidemiologic research on electric and magnetic fields and cancer, American Industrial Hygiene Association Journal, 1993) e Magnani C. (Recenti indagini epidemiologiche sull'associazione tra campi elettromagnetici E.L.F. e leucemie. Radiazioni non ionizzanti: effetti biologici, sanitari ed ambientali, 1994). Tali studi e altri dodici pubblicati successivamente (ancora da Wertheimer, 1995 fino a Hatch, 1998), hanno formato oggetto del rapporto I.S.T.I.S.A.N. 1998 (all. 14) in cui viene riconosciuto un ruolo apprezzabile dell'esposizione ai campi magnetici nell'eziologia della leucemia infantile anche se "il carattere causale di tale associazione non e' per ora adeguatamente dimostrato". Sul punto si e' molto dibattuto specialmente dopo la pubblicazione di uno studio americano (Residential exposure to magnetic fields and acute lymphoblastic leukemia in children, Linet et al., New Eng. Journal, 1997) che non indicava una relazione significativa fra la residenza in case con livelli di campo magnetico superiori a 0,2 - 0,3 microtesla e la presenza di leucemia infantile perche', anche se vi era una certa associazione, non si raggiungeva la significativita' statistica. Le indagini epidemiologiche successive, sempre in quell'anno, di altri studiosi (americani, tedeschi e norvegesi), hanno evidenziato che il rischio aggiuntivo di leucemia infantile, con una metodologia di misurazione dell'esposizione nelle 24 ore, varia indicativamente fra un 30% e un 60% in piu' (Comba, trascr. ud. 6.03.98, pag. 17). Opportuno allora appare rilevare che: * il dato che emerge dall'insieme degli studi pubblicati fra il 1991 e il 1997 e' che il rischio di leucemia infantile, per la popolazione residente in case con livello di campo magnetico superiore a 0,2 microtesla, e' dell'ordine del 30-60% in piu' rispetto alla popolazione che vive al di sotto di 0,2 microtesla; * gli studi che confermano l'incremento della leucemia infantile sono frutto di ricerche epidemiologiche mentre gli studi non positivi sono generalmente caratterizzati da una bassa potenza statistica. Le osservazioni trovano conforto nella tabella allegata alla perizia, che raccoglie, appunto, i risultati di vari accertamenti su soggetti esposti a campi elettromagnetici, dalla quale emerge come per tali soggetti sia stato verificato un maggiore rischio di leucemia, particolarmente quella infantile. I dati trovavano riscontro gia' negli studi dei primi anni novanta, caratterizzati da un'accurata valutazione dell'esposizione a campi E.L.F. e ad altri fattori di rischio dei tumori, che indicavano in modo coerente un incremento di rischio di leucemia infantile in relazione ad esposizione a campi magnetici a 50 Hz di intensita' superiore agli 0,2 microtesla (Magnetic fields and cancer in childre residing.., in American Journal of Epidemology, Feychting M., Ahlbom A., 1993). Tale valutazione assume una rilevanza particolare, in ordine all'attendibilita', perche' corrisponde esattamente a quella espressa dall'Istituto Superiore di Sanita', di cui il perito Comba e' Direttore del Reparto di Epidemiologia. Tra la documentazione di studi non positivi prodotta dalla difesa spicca l'editoriale, gia' citato, di Edward W. (all. n. 6). Dopo avere ironizzato, anche in maniera pesante, sugli studi precedenti, definendo ad es. "grossolana saga" la prima indagine di Wertheimer N. e Leeper E., dei quali non riporta neanche il nome limitandosi a citarli come "due ricercatori di Denver", l'autore afferma testualmente: "Anche se la maggior parte dei fisici ritiene inconcepibile che i campi elettromagnetici possano costituire un pericolo per la salute, dozzine di studi epidemiologici hanno messo in evidenza deboli associazioni tra la vicinanza a conduttori elettrici ad alta tensione ed il rischio di cancro". L'autore, quindi, non mette solo in dubbio l'utilita' delle indagini epidemiologiche, sulla cui serieta', viceversa, concordano anche i consulenti tecnici degli imputati, ma contesta soprattutto che suoi colleghi, a dozzine, abbiano avuto l'ardire di svolgere un tale tipo di indagine. Egli afferma con decisione che "non esiste alcuna prova convincente che l'esposizione ai campi elettromagnetici causi il cancro negli animali, ed i campi elettromagnetici non hanno assolutamente effetti biologici riproducibili, tranne nel caso di valori che vanno ben di la' da quelli mai riscontrati nelle abitazioni della gente". Senonche' nel periodo successivo si scopre che tanta certezza gli deriva proprio da quelle vituperate indagini perche' si legge: "Recentemente, parecchie commissioni e gruppi di esperti hanno concluso che non esiste alcuna prova convincente che le linee elettriche ad alta tensione rappresentino un pericolo per la salute o siano causa di cancro. Ed i migliori studi epidemiologici, incluso quello di Linet ed at., raggiungono ora le stesse conclusioni". Osserva il giudicante che lo studio di Linet esclude la significativita' statistica dell'indagine non l'associazione (quindi non puo' affermarsi che esclude il pericolo per la salute), e che comunque il convincimento del giudice non puo' prescindere dalla valutazione complessiva della letteratura scientifica, tutt'altro che unanime su un tale giudizio d'incertezza probatoria. L'ipotesi di un ruolo causale dei campi E.L.F. nell'insorgenza della leucemia esula e' vero dal tema specifico ma va comunque tenuta presente come elemento di riferimento perche', come si vedra', si ripercuote nella piu' recente valutazione ufficiale contenuta nel citato documento ufficiale congiunto dell'Istituto Superiore di Sanita' e dell'Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza del Lavoro del gennaio 1998 (all. n. 2). Per quanto riguarda gli effetti non tumorali, gia' negli anni 60 e 70 apparvero alcune segnalazioni di autori sovietici in merito ad un'accresciuta prevalenza di disturbi neurologici e circolatori e di alterazioni ematologiche in lavoratori di sottostazioni ad alta tensione (Asanova e Racov, 1966; Korobkova et al., 1972; Sazonova, 1975). Asanova e Ravov, in particolare descrissero casi di cefalea associata a indolenza, affaticamento, irritabilita', disturbi del sonno comparsi alcuni mesi dopo l'avvio del funzionamento delle stazioni L'assenza di conclusioni definitive, anche per la diversita' della metodologia impiegata dai vari autori, spinse l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (United National Environment Programme...,WHO, 1984, Geneva) a raccomandare ulteriori ricerche. Nella motivazione della citata risoluzione del Parlamento Europeo (all. n. 3, pag. 9) si legge: "Nel novero dei sintomi osservati nelle persone che abitano nelle vicinanze di linee di trasporto di elettricita', si denotano emicranie, affaticamento cronico, depressione e actonia muscolare, sintomi che il piu' delle volte scompaiono con l'allontanamento del paziente dalla fonte del disturbo. Inoltre, dette manifestazioni di ipersensibilita' si verificano con frequenze proprie a ciascun individuo". In uno studio sui sintomi depressivi e la cefalea (Pool C. ed al., American Journal of Epidemiology, 1993), e' stato evidenziato un incremento della frequenza della sintomatologia e della patologia, (quest'ultima di circa il 50%), fra i residenti in proprieta' confinanti con la fascia di rispetto di un'elettrodotto, e l'associazione non e' stata spiegata da altre variabili di possibile significato eziologico ne' dalle convinzioni personali dei soggetti esaminati. Sulla metodologia di tali ultimi esami (mediante interviste telefoniche), la cui validita' e' stata contestata dalla difesa, il perito dott. Comba ha spiegato che essa e' pienamente accettata nella societa' scientifica americana tant'e' che ha avuto l'approvazione dei revisori scientifici dell'American Journal (trascr. ud. 22.11.96, pag.15-16). Per quanto riguarda l'Italia, va citata l'indagine svolta dall'Istituto Superiore di Sanita', in collaborazione con l'Istituto per le ricerche sulle onde elettromagnetiche del C.N.R. e il Servizio Sanitario delle FF. SS. (Baroncelli ed al., 1985;1986). In questo studio si esamino' lo stato di salute di 627 lavoratori di sottostazioni delle FF. SS. e non si osservarono differenze significative tra gli esposti a campi E.L.F. e il gruppo di riferimento per quanto riguarda una serie di esami mirati relativi a disturbi del sistema nervoso, del sistema cardiovascolare e ad alterazioni ematologiche (cfr. rapporto I.S.T.I.S.A.N., 1989, all. 14, pag. 42). Si osserva, altresi', che nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 1998 (all. n. 15) si da atto anche dell'esame degli studi sull'associazione dei campi E.L.F. alle malattie neurodegenerative e si afferma che: "sono stati esaminati studi relativi ai rischi di malattia del motoneurone, di demenza di Alzheimer e di morbo di Parkinson" anche se "le evidenze epidemiologiche sull'associazione tra queste patologie e l'esposizione ai campi magnetici a 50/60 Hz hanno carattere preliminare e una valutazione definitiva e' per ora prematura". L'anno 1997, in particolare, e' stato un anno importante per i risultati raggiunti nello studio della sintomatologia soggettiva; soprattutto della sintomatologia a carico del sistema nervoso. Di notevole interesse e' il documento di quell'anno della Commissione dell'Unione Europea (Possible healt implications of subjective symptoms and electromagnetic fields, - all. n. 16), che e' un rapporto preparato da un gruppo di esperti, di diversi paesi europei, fra cui il prof. Paolo La Vecchia dell'Istituto Superiore di Sanita', oggi consulente tecnico degli imputati. A pag. 32 del documento viene indicato come trattare gli individui che dichiarano di avere ipersensibilita' elettromagnetica, sintomatologia soggettiva che la cultura scientifica europea considera come condizione reale nel senso che molti soggetti colpiti soffrono realmente ed alcuni in modo grave. Lo stesso documento conclude peraltro sul punto che il nesso di causalita' non e' per ora stabilito con certezza. Come dire che il fenomeno esiste realmente ma non ha causazione certa. Altre qualificate ricerche in materia sono state svolte in Svezia, U.S.A., Canada e Francia, e anche la valutazione dell'insieme di queste ricerche, concordi sulla reale esistenza del fenomeno, non ha trovato gli studiosi concordi sul probabile meccanismo biologico d'azione dei campi magnetici. Occorre tuttavia dare il giusto rilievo ad una valutazione del collegio peritale di un documento di Radioprotezione svedese, firmato anche da quattro Enti nazionali, dal titolo "Campi elettromagnetici a bassa frequenza, il principio cautelativo", che trova sostanzialmente concorde il consulente tecnico La Vecchia (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 131-134). Il cardine di questo documento e' che, pur fatte salve le incertezze sulla causalita', si deve fare ogni sforzo per ridurre i campi elettromagnetici, mentre la pagina piu' importante e' proprio quella dedicata alla sindrome di ipersensibilita' elettrica in cui si afferma che la discussione e' aperta e che e' necessaria ulteriore ricerca. Ritornando al documento della Commissione dell'Unione Europea (all. n. 16), la parte del lavoro di maggiore pregio e' quella relativa alle conclusioni ove viene data una spiegazione logico-scientifica dell'incertezza evidenziando come la stessa sia da attribuirsi in prevalenza alla superata e non piu' adeguata metodologia usata negli studi precedenti. Metodologia che, come meglio si chiarira' piu' avanti, prevede un piu' corretto approccio al problema mediante il ricorso al criterio osservazionale piuttosto che a quello sperimentale. Dopo qualche mese dalla pubblicazione di tale documento, a riprova di quanto sia importante insistere nelle ricerche, in un convegno internazionale sull'elettrobiomagnetismo in Bologna, e' stato presentato un nuovo studio di ricercatori neozelandesi riferito specificamente agli effetti psicologici dell'esposizione cronica a campi elettromagnetici a 50 Hz in persone che abitano in vicinanza di linee ad alta tensione (Psychological Effects of Chronic Exposure to 50 Hz Magnetic Fields in Humans Living Near Extra-High-Voltage Transmission Lines, pubblicato sulla rivista Bioeletromagnetics, 1997, che e' la rivista scientifica internazionale del settore piu' accreditata - all. n. 17). Lo studio ha preso in esame una tipologia di abitazioni situate in prossimita' di linee ad alta tensione nell'area metropolitana di Aukcland con esposizioni 0,1 a 2 microtesla. Le 540 persone, ovviamente abitanti in case diversificate come livello di esposizione, sono state sottoposte a test ed invitati a rispondere a questionari e i risultati sono stati valutati coerenti con un effetto diretto dell'esposizione cronica a campo magnetico a 50 Hz sul sistema nervoso. L'ultima valutazione scientifica, percio', non da' solo contezza dell'esistenza reale dei fenomeni ma riduce le incertezze sull'associazione dei disturbi all'esposizione e, quindi, sulla sussistenza del nesso di causalita' che andra' vagliata in concreto non piu' in termini di semplice possibilita' bensi' di probabilita'. Tale valutazione e', invero, contestata (trasc. ud. 22.11.96, pag. 60) dal consulente tecnico La Vecchia (che pur aveva contribuito a redigere il documento della Commissione Europea - all. n. 16) per il quale, viceversa, allo stato attuale delle conoscenze non puo' sostenersi che l'esposizione ai campi elettrici e magnetici ad alta frequenza sia un rischio per la salute umana (affermazione contenuta a pag. 185 del documento ufficiale National Research Council, della National Academy of Scienze, 1996, commissionato dal Congresso e finanziato dal Governo degli U.S.A., che include tra i soggetti che lo hanno approvato i maggiori esperti nel settore tra cui David Saviz, noto studioso dei possibili rischi associati ai campi elettromagnetici- all. n. 18) e, per cio' che riguarda gli altri possibili effetti, non vi e' convincente evidenza di avversi effetti neurocomportamentali in associazione con l'esposizione (pag.186, stesso documento). La traduzione dell'intero periodo da cui il consulente La Vecchia ha estrapolato la prima fase (traduzione del perito Comba non contestata dal La Vecchia, pag.67, trascr. ud. 22.11.96) e' la seguente: "Il corpo dell'evidenza, nell'opinione del comitato, non ha dimostrato che l'esposizione ai campi elettrici e magnetici delle linee ad alta tensione sia un pericolo per la salute umana. Tuttavia alcuni dati epidemiologici corroborano un'associazione fra misure indirette del campo magnetico ed un aumentato rischio di leucemie infantili. Ulteriori ricerche per comprendere i vari modi di misurare l'esposizione e la loro possibile associazione con effetti avversi negli uomini, cioe' nelle popolazioni umane, e nei modelli sono necessarie per risolvere questa incertezza". Appare di tutta evidenza come il La Vecchia abbia maliziosamente dato lettura parziale della citazione, omettendo quella relativa alle due frasi successive (quelle sottolineate), stravolgendo cosi' il pensiero di quei ricercatori i quali non esternano affatto certezze sull'insussistenza del nesso di causalita' ed anzi concludono con la necessita di intensificare le ricerche. E quando piu' scienziati concordano sulla necessita' di intensificare le ricerche di regola vuol significare che sussistono concreti elementi di riscontro, anche se non ancora sufficienti per l'affermazione della certezza scientifica Sulla seconda frase, che inerisce al giudizio sulle cefalee, appare chiarificatrice l'osservazione del perito Comba allorche' evidenzia la valenza parziale della relativa conclusione atteso che in quella ricerca gli scienziati americani hanno selezionato solo gli studi che avevano un certo livello di qualita' e alla fine si sono limitati a dire che i risultati non avevano coerenza perche' i dati positivi e i dati negativi raccolti non offrivano una coerenza dell'insieme. Ritornando alle valutazioni del collegio peritale va evidenziato come i periti, nella consapevolezza che l'indagine sul fenomeno cefalea puo' essere condizionata dalla metodologia del ricercatore, nel senso che questi puo' fortemente influenzare il risultato e piu' precisamente puo' portare ad una sottostima ovvero ad una sovrastima del rischio, nello specifico abbiano utilizzato un metodo che porta alla sottostima piuttosto che alla sovrastima del fenomeno. - Profili medico-legali L'esame peritale sulle quindici persone esposte al campo magnetico prodotto dall'elettrodotto Forli'-Fano evidenzia, rispetto alla patologia, due casi di neoplasia della mammella, due di pace-maker e undici di sindromi cefalgiche. Escluso il nesso di causalita', anche alla luce della piu' recente letteratura, tra la neoplasia della mammella e l'esposizione al campo magnetico, ed evidenziata la possibile interferenza dell'esposizione sulla sintomatologia lamentata dai soggetti portatori di pace-maker (e' notorio che questi non devono sostare ne' transitare in prossimita' di elettrodotti), rimangono gli undici casi di accertata sindrome cefalgica. Affermano i periti che, tenendo conto del valore dell'esposizione all'azione del campo magnetico e alla luce dell'amplissima letteratura sull'argomento, in nove delle sindromi accertate esiste, seppure senza certezza assoluta, la ragionevole possibilita' che il campo magnetico rivesta valore eziologico quale causa unica ed efficace, o quantomeno quale concausa. Tra i nove casi richiamati rientrano quelli delle parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi in relazione ai quali le conclusioni peritali sono state dianzi riportate. Il perito dott. Olivieri riferisce (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 23 e segg.) che la dizione sindrome (con cui di solito in patologia si intende definire un insieme di sintomi che danno luogo ad un quadro patologico) e' stata utilizzata dal collegio peritale per definire un quadro sintomatico, quello dei nove periziati, che si presentava piuttosto vario e raccontato in maniera diversa da paziente a paziente che pero' andava a finire in un quadro simile. Sui casi di Giovagnoli e Siliquini, in particolare, la sindrome cefalgica lamentata e accertata va collegata ai tempi di prolungata esposizione al campo magnetico (l'abitazione del primo dista 30 metri e quella del secondo 18 metri dalla linea elettrica ed entrambi coltivatori diretti lavorano terreni agricoli attraversati dalla linea stessa). Nel verificare la sussistenza del rapporto di causalita' utilizzando i criteri propri dell'indagine medico-legale, il collegio peritale ritiene che tali sindromi cefalgiche (trascr. ud. 22.11.1996, pagg. 124 e segg.): * possono essere etichettate come lesioni, intese come alterazioni, temporanee o meno, delle integrazioni psicofisiche dei soggetti esaminati; * non possono essere riferite, nel rispetto dei criteri cronologico (la sindrome e' comparsa in tutti i casi successivamente all'attivazione), dell'efficienza, della causa lesiva, perlomeno di alta probabilita', e sulla scorta degli esami eseguiti, ad altra causa patologica; * trovano riscontro nella letteratura scientifica come patologie compatibili con l'esposizione a campi elettromagnetici. Il dubbio sollevato dalla difesa sul nesso eziologico relativo al caso Siliquini (soggetto portatore di artrosi cervicale, patologia compatibile con le lamentate vertigini e cefalee) e' risolto dai periti Olivieri e Ravaioli i quali non negano la compatibilita' ma precisano che in una scala di probabilita' come causalita' della sindrome cefalgico-vertiginosa al primo posto va collocata l'esposizione al campo magnetico che non l'artrosi cervicale (trascr. ud. 22.11.96, pagg.36 e segg.). Appaiono del pari esaurienti i chiarimenti del perito sulle contestazioni del consulente Pira che, quanto alle conclusioni peritali, evidenzia come in alcuni testi specialistici sia scritto che "la cefalea spesso e' il prevalente e unico sintomo dell'artrosi cervicale e che la vertigine - nel caso di artrosi cervicale - e' un fenomeno che compare praticamente in maniera non continua ma regolare, ad intervalli, e dipende da una serie di situazioni, quali i movimenti forzati del rachide e da una particolare sollecitazione"; e quanto al criterio cronologico perche' "in esso gli elementi da valutare, a dire del Cazzaniga che e' l'autore citato dagli stessi periti, sono quelli diretti, cioe' obiettivabili, e non quelli indiretti, cioe' non obiettivabili". Sulla prima contestazione, infatti, il perito Olivieri rileva l'inesattezza dell'asserita inconfutabilita' dell'elemento prospettato, osservando che esistono dei soggetti con artrosi radiologicamente poco evidenti, con poche modificazioni, che sono violentemente cefalgiche e danno luogo a cefalee muscolo tensive importanti, associate a vertigini, e quadri di gravi o gravissime alterazioni morfologiche non sintomatiche per cui il menzionato parere espresso nei testi specialistici non puo' essere elevato a regola certa. Sul criterio cronologico il perito, dopo aver difeso la precisione e la correttezza della metodologia medico-legale del collegio, nel senso che l'analisi e' avvenuta in cieco eseguendo prima le visite mediche e poi sposando i relativi dati con gli esiti delle misure, spiega che in perizia non risultano indicati elementi obiettivabili unicamente perche' non ne sono stati acquisiti ed e' proprio questa penuria che non consente una diagnosi di assoluta certezza. La correttezza della metodologia trova conforto nella deposizione del perito Comba che, riferendosi al caso Siliquini, specifica come il collegio abbia tenuto anche conto: della distanza della casa del periziato (18 metri dalla linea, e quindi addirittura all'interno dei 28 metri previsti dall'ordinamento); della posizione della sua camera da letto che e' la piu' vicina all'elettrodotto; del fatto che svolge il suo lavoro nel terreno attraversato dalla linea elettrica e della circostanza (non trascurabile) che i disturbi, iniziati dopo l'attivazione dell'elettrodotto, scompaiono se ha la possibilita' di trattenersi per qualche ora su altro terreno o in altra casa. Non meno pregevole e' il responso del perito Comba sull'invocata discutibilita' dell'esame in cieco utilizzato dal collegio che, a dire del consulente Pira, sarebbe viziato, da un punto di vista epidemiologico dalla cosiddetta eco-distorsione, in un caso come quello di specie che vede i querelanti lamentare una patologia collegata al fatto di abitare e lavorare in prossimita' dell'elettrodotto. Il perito, dopo aver osservato come con il termine eco-distorsione si suole indicare la distorsione indotta dal ricordo, dalla memoria; un ricordo differenziato nel senso che chi e' consapevole di un qualcosa ricorda anche i particolari e chi non ha questa consapevolezza non li ricorda, prospetta le seguenti considerazioni di risposta (tracr. ud. 22.11.96, pagg. 97-102): * "La prima e' che coloro che hanno formulato l'esposto sono un campione distorto della popolazione ossia sono coloro che al tempo stesso ritengono di avere un problema sanitario, lo collegano all'esposizione e intraprendono una qualche azione. Invero noi non abbiamo fatto, perche' non ci e' stata chiesta, un'indagine epidemiologica perche' altrimenti avremmo seguito la logica di partire dalla popolazione vale a dire avremmo misurato il campo magnetico in tutte le case della zona. * La seconda e' che noi abbiamo valutato un gruppo di persone e lo studio, che puo' essere definito intermedio tra quello epidemiologico della popolazione e quello del caso singolo, anche se per tanti versi insoddisfacente, non puo' essere sic et simpliciter azzerato perche' i dati raccolti sono reali, i fenomeni esistono". "Sempre a proposito dell'osservazione di Pira", aggiunge Comba, "credo che dobbiamo aggiungere una variabile che chiamerei socio-culturale. Nella mia qualita' di ricercatore dell'Istituto Superiore della Sanita' ho potuto constatare come nelle fasce di popolazione che vivono in ambienti rurali ci sia un atteggiamento a sollevare un problema sanitario, ad andare da un medico, quando il problema diventa notevole. Quindi sottolineo che queste cefalee associate a questi altri sintomi che compaiono in delle fasce di popolazione per le quali il ricorso al servizio sanitario non e' una cosa continua, facile e quotidiana che si fa a cuor leggero ma e' un atto che scatta quando il livello di sofferenza individuale ha raggiunto dei livelli abbastanza alti, questo fatto, questa osservazione, che non e' limitata solo a questa situazione ma anche ad altre delle quali io mi sono occupato per il mio lavoro istituzionale, concorrono a dare anche a me che non sono un clinico e che non ho fatto le visite mediche su queste persone, un elemento di attenzione alla credibilita' del sintomo e, come e' riportato in questi casi, all'ascolto di questo dato soggettivo". Il dubbio sollevato dalla difesa sul nesso eziologico relativo al caso Giovagnoli (soggetto affetto da ipertensione arteriosa, patologia compatibile con la cefalea e il nervosismo) e' risolto dai periti Olivieri e Ravaioli i quali, pur non escludendo anche un rapporto con ipertensione arteriosa, precisano come in una scala di valori di probabilita' vada collocata al primo posto l'esposizione al campo magnetico (trascr. ud. 22.11.96, pagg.36 e segg.). Puntuale appare, altresi', la risposta del perito Olivieri alle contestazioni del consulente Pira che giudica le conclusioni peritali incompatibili con l'anamnesi patologica remota la quale evidenzia come il Giovagnoli gia' 15 anni prima di essere periziato fosse affetto da ipertensione arteriosa. Osserva, infatti, Olivieri che "l'ipertensione arteriosa venne riscontrata al Giovagnoli quando aveva 25 anni e che di solito un fatto ipertensivo a quell'eta' giovanile non poggia su alterazioni morfologiche o patologiche particolari tant'e' che si parla di ipertensione arteriosa essenziale. La diagnosi del collegio peritale di modesta ipertensione arteriosa, fonda: * sul valore di pressione massima piuttosto elevato (170) con una minima, pero', pressoche' normale; * sul tracciato elettrocardiografico che non presentava alcuna variazione, mentre in casi di ipertensione degna di certo interesse e che duri da un certo periodo di tempo, come poteva essere nel caso del Giovagnoli, avrebbe dovuto denunciare un'ipertrofia ventricolare sinistra". Senza ignorare, aggiunge il giudicante, che, come gia' evidenziato trattando dell'evento, le patologie pregresse di Siliquini e Giovagnoli sono state spontaneamente riferite dagli stessi. Merita particolare attenzione la risposta del perito Comba alla prospettata incongruenza tra la certezza manifestata dal collegio peritale sulla prevedibilita' dell'evento (risposta al quesito n. 6) e il dubbio della scienza sulla sussistenza del nesso eziologico emerso in dibattimento. Osserva sul punto il perito: "Nelle patologie ambientali due sono i paradigmi di indagine universalmente accettati: 1) Classificazione della patologia su causa eziologica o monofattoriale per la quale vige un modello deterministico tra causa ed effetto che e' analogo al modello usato nello studio delle malattie trasmissibili ove scoperto il bacillo si sa che dara' sempre e solo quella malattia; 2) Classificazione delle patologie dal punto di vista nosologico che hanno una diffusione nella popolazione comune e che possono in certi gruppi di soggetti che stanno in un ambiente particolare vedere accresciuta la loro frequenza. Per la seconda classificazione, nella quale rientrano le cause inquinanti ambientali, di radiazioni elettromagnetiche ecc., il paradigma ideale della dimostrazione del nesso di causalita' e' quello della sperimentazione come avviene per i farmaci: l'efficacia di un nuovo farmaco rispetto al precedente e' dimostrata quando, azzerate tutte le variabili di disturbo, le persone trattate con il nuovo farmaco stanno meglio. Lo studio su popolazioni umane esposte ad agenti ambientali non e' sperimentale ma osservazionale e le regole di questo criterio per valutare la causalita' comportano la valutazione della significativita' statistica che non vuole significare criterio solo statistico ma criterio di valutazione di causalita' come risulta da studi epidemiologici non sperimentali. Il criterio osservazionale consente di constatare le eventuali modificazioni delle situazioni preesistenti dopo avere sottoposto un soggetto ad esposizione a campo elettromagnetico per un certo periodo. Se l'osservazione evidenzia una modifica non attribuibile ad altri fattori, non puo' disconoscersi adeguata fondatezza all'affermazione della sussistenza di un nesso di causalita'". Come dire che sotto il profilo medico-legale e' ipotizzabile la ragionevole probabilita' che l'esposizione a campo elettromagnetico sia causa unica ed efficace o quanto meno concausa delle patologie del tipo di quelle lamentate dai querelanti Siliquini e Giovagnoli. Quanto all'effettiva sussistenza di tale probabilita' osserva il giudicante che i pur ragionevoli dubbi iniziali possano ritenersi dissolti all'esito dell'ampia e puntuale istruttoria dibattimentale e in particolare dalle condivisibili valutazioni medico-legali dei periti la cui capacita' e' notoria anche in campo internazionale ed il cui palese disinteresse, rispetto al pur comprensibile coinvolgimento dei tecnici di parte, e' garanzia non solo di obiettivita' ma anche di credibilita'. Quanto al contrasto tra le valutazioni dei periti e quelle dei consulenti tecnici, dei quali comunque non si pongono in discussione capacita' e competenza, il giudicante segnala l'indirizzo del Supremo Collegio che sul punto afferma: "In tema di valutazione delle risultanze peritali, quando le conclusioni del perito d'ufficio non siano condivise da consulenti di parte, ed il giudice ritenga di aderire alle prime, non dovra' per cio' necessariamente fornire, in motivazione la dimostrazione autonoma della loro esattezza scientifica e della erroneita', per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d'ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei consulenti. Cio' avuto anche riguardo alla diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti, essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte che li ha nominati, senza assunzione, quindi, dell'impegno di obiettivita' previsto per i soli periti. (Cass, Sez. I, 22.01.1993, n. 11706). Pur prescindendo dall'indubbia incidenza di tale diversa posizione processuale sull'adesione del giudicante, la metodologia utilizzata dai periti appare piu' apprezzabile per l'ampiezza delle fonti utilizzate ed il piu' incisivo senso critico dei temi sviluppati. Il riscontro e' nella parte dell'esame dei periti in contraddittorio con i consulenti (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 74 e segg.). Mentre i consulenti fondano le loro valutazioni sull'assenza dell'espressa previsione nei testi di medicina della sintomatologia lamentata da Giovagnoli e Siliquini, i periti si ispirano anche alla letteratura scientifica. La differenza e' di rilievo perche' la scienza e' in continua evoluzione e il frutto delle ricerche trova piu' immediato spazio nei convegni e nelle riviste scientifiche consentendo un piu' rapido aggiornamento rispetto ai testi. La correttezza della metodologia medico-legale del collegio peritale e le conclusioni sulla probabile sussistenza del nesso causale in presenza di una sintomatologia pur priva di elementi obiettivabili trova, peraltro, riscontro nel citato documento (n. 8) della Commissione dell'Unione Europea, in cui si da atto che la piu' aggiornata cultura scientifica europea considera la sintomatologia soggettiva una condizione reale, e nella piu' recente ricerca scientifica, quella dei neozelandesi di cui si e' gia' detto (all. n. 17), che riconosce tale condizione e valuta i risultati degli studi coerenti con un effetto diretto dell'esposizione cronica a campo magnetico a 50 Hz sul sistema nervoso. Non ignora il giudicante che la copiosa giurisprudenza ha quasi sempre negato l'azione causale degli effetti derivanti dall'esposizione ai campi E.L.F. sulla salute umana, ma osserva che tutte le pronunce negative sono fondate sul presupposto dell'incertezza scientifica; incertezza non condivisibile in quanto l'assenza di certezze negative, espressa come conseguenza della valutazione sulla nocivita' degli indizi, non e' un parametro equivalente all'assenza di rischio, che sussiste solo quando gli indizi stessi non si ravvisano affatto. Il nesso di causalita' puo' essere, quindi, escluso solo quando gli esiti delle ricerche, inizialmente d'incertezza come all'epoca della costruzione ed attivazione dell'elettrodotto, successivamente neghino scientificamente il rischio dell'evento e non quando la scienza, anche se con giudizio postumo, abbandona l'incertezza e riconosce, come nel caso di specie, la ragionevole probabilita' di un danno alla salute da esposizione a campi E.L.F.. E forse quei giudici se fossero chiamati oggi a decidere le stesse questioni di allora e motivassero le decisioni, oggi come allora, in base alle conoscenze scientifiche pregresse ed attuali rispetto ai singoli provvedimenti, il verdetto verosimilmente sarebbe diverso. Si cita ad es. la Sentenza del Tribunale di Torino 6 novembre 1993, prodotta dalla difesa (all. n. 19), nella quale il giudice, facendo propria la riflessione di un consulente, afferma che la dimostrazione di un nesso causale tra esposizione di persone a campi elettromagnetici ed effetti dannosi per la salute, non sufficientemente evidente, e demanda a studi futuri che esplorino questa ipotesi, auspicando la programmazione di studi in grado di testare le ipotesi di quelli attuali. Ancora una consulenza tecnica del Tribunale di Milano che, riferisce la difesa, in una causa recente, del 5 marzo 1997, esclude nel modo piu' radicale attraverso il riferimento ad un'infinita' di studi, che sia statisticamente significativo che i sintomi depressivi per la cefalea e per l'emicrania possano essere causati dalla prossimita' dei campi magnetici. Osserva il giudicante che anche in questo caso l'infinita' degli studi di riferimento sono precedenti al 1997 tant'e' che il giudizio di quel tecnico e' fondato sul superato criterio statistico e non sulla valutazione della significativita' statistica e del criterio osservazionale di cui si e' gia' detto. Dimostrata la ragionevole probabilita' dal punto di vista medico-legale (col beneplacito della scienza) che la sintomatologia lamentata dalle parti civili Siliquini e Giovagnoli sia conseguenza in tutto o in parte dell'esposizione ai campi magnetici dell'elettrodotto Forli'-Fano, occorre stabilire se tale probabilita' sia sufficiente per il nostro ordinamento giuridico ad integrare un rapporto causale penale e piu' precisamente il nesso eziologico del delitto di lesioni colpose. L'art. 40 cod. pen. richiede esplicitamente che l'evento da cui dipende l'esistenza del reato sia conseguenza dell'azione od omissione criminosa. La lettera della disposizione parrebbe non offrire spazi a criteri diversi da quello della certezza: la responsabilita' penale, secondo un'interpretazione letterale dell'art. 40, puo' essere affermata solo se v'e' certezza sul nesso di causalita'. Tuttavia la giurisprudenza, sia di merito che di legittimita', e' stata caratterizzata negli ultimi anni, in armonia con il progresso tecnologico e scientifico, da un orientamento tendenzialmente piu' rigoroso, particolarmente in tema di responsabilita' professionale del medico, ma non solo, tanto che oggi l'orientamento prevalente e' per riconosce legittimazione anche al criterio della probabilita'. Il principio che ha ispirato il passaggio dal criterio della certezza a quello della probabilita' in tema di responsabilita' professionale medica, che ha tracciato il solco della svolta, e' che la vita umana e' un bene primario che va salvaguardato sopra ogni cosa e ad ogni costo. Ed il bene primario della vita va salvaguardato sia che riguardi un paziente, che e' costretto a rivolgersi ad un sanitario, sia che riguardi un cittadino costretto a vivere sotto un traliccio. Gia' nel 1987 la Suprema Corte di Cassazione (Sez. IV, sent. 11243 del 2.11.1987) aveva affermato che "nell'ambito del diritto penale, in considerazione del fine di repressione che l'ordinamento persegue, la prova, anche in tema di rapporto di causalita' materiale, non puo' essere identificata esclusivamente in un dato di certezza scientifica fondato sulla regolarita' senza eccezioni nella successione di determinati fenomeni. In molti casi, soprattutto nel settore della medicina e della biologia, in assenza di leggi scientifiche, debbono considerarsi validi e sufficienti, al fine dell'indagine causale, anche i risultati di generalizzazione del senso comune, fermo restando che e' doveroso, da parte del giudice, orientare, laddove e fin dove e' possibile, l'indagine verso una spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni, in particolare di quelli naturali". Ma la sentenza che piu' di ogni altra ha inciso sulla svolta e' quella relativa al noto crollo dei bacini di Stava (Cass. Pen., Sez. IV, sent. 4793 del 29.04.91) in cui, oltre a ribadire la legittimazione del criterio della probabilita', il Supremo Collegio afferma anche che l'unico limite al riconoscimento del probabile nesso di condizionamento tra azione ed evento e' rappresentato dalla presenza di un diverso ragionevole processo causale. Come dire che in assenza di diverso processo causale la ragionevole probabilita' e' assimilabile alla ragionevole certezza. Esattamente come nei casi di Siliquini e Giovagnoli per i quali le conclusioni del collegio peritale, ratificate dall'istruttoria dibattimentale, sono di non riferibilita' delle patologie, accertate come probabili conseguenze dell'esposizione ai campi magnetici, ad altra causa patologica. Elemento soggettivo Gli odierni imputati sono accusati di avere in cooperazione cagionato le lesioni mediante la progettazione, costruzione ed attivazione dell'elettrodotto Forli'-Fano a 380 KV con negligenza e imprudenza. L'esito dell'istruttoria dibattimentale consente di aderire alla concorde richiesta delle parti di assoluzione degli imputati Cerioli Italo, Brugna Ermanno, Silvestri Claudio e Gislimberti Giuliano per difetto dell'elemento psicologico in quanto meri esecutori, a vario titolo, dei lavori in base ad un progetto predisposto dall'E.N.E.L. Rimane, dunque, da valutare l'elemento psicologico limitatamente all'accusa di colpa generica rivolta all'imputato Balli Sergio. Sostiene la difesa che in presenza di una tipizzazione con legge dell'evento, come nel caso di specie attraverso il D.P.C.M. del 23.04.1992, l'osservanza della legge esclude la possibilita' di contestare la colpa specifica ed inoltre non da' spazio per un'impostazione di colpa generica. Come dire che l'accusa correttamente non ha contestato la colpa specifica, unica ipotizzabile, in quanto l'E.N.E.L. ha rispettato la legge vigente, ma avrebbe errato a contestare la colpa generica, non ipotizzabile in presenza di precise disposizioni normative di copertura. Sulla diversa impostazione incide principalmente la palese diversa valutazione della natura del reato: istantaneo ad effetti permanenti per l'accusa; permanente, ove ipotizzabile, per la difesa. L'assunto difensivo in punto all'assenza di spazio per l'impostazione di colpa generica non appare condivisibile. Osserva innanzi tutto il giudicante che l'art. 5 del D.P.C.M. del 23.04.1992, fissa la distanza minima di rispetto dagli elettrodotti a 380 KV in 28 metri mentre l'abitazione del Siliquini dista 18 metri dalla linea elettrica e, quindi, seguendo le argomentazioni della difesa, almeno relativamente a questo caso, risulta superato il limite legale. Tuttavia l'addebito mosso agli imputati e' di sola colpa generica perche' l'elettrodotto risulta attivato in data 27.07.1991 (quindi prima del decreto aprile 92 e verosimile ragione di mancata contestazione di colpa specifica per il principio tempus regit actum), e non, come sostiene la difesa, perche' i limiti legali furono abbondantemente rispettati. Ne deriva che il Pubblico Ministero ha ben ritenuto non applicabile al caso di specie l'invocato principio giurisprudenziale, secondo cui in presenza di norme a tutela di una precisata situazione di pericolo non vi sia spazio per la contestazione ulteriore di una colpa generica, per il semplice motivo che all'epoca della costruzione ed attivazione dell'elettrodotto non esisteva alcuna normativa sanitaria diretta a tutelare la salute dall'esposizione ai campi magnetici (il decreto 1991, come meglio si chiarira' piu' avanti, non ha contenuto sanitario). Osserva in ogni modo il giudicante che la sentenza di riferimento (Sez. IV, 16.10.1998, in cui si afferma che "fuori dell'ipotesi di osservanza di specifiche disposizioni normative, possono ascriversi a colpa solo quegli eventi che, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, siano prevedibili dal soggetto al momento della realizzazione della sua condotta"), circoscrive il criterio alla materia della prevenzione d'infortuni (dunque di una particolare colpa specifica) e limitatamente alle ipotesi di evenienze assolutamente improbabili ed eccezionali in base alla comune esperienza. Parimenti va valutata la sentenza del Tribunale Penale di Brescia in data 6 novembre 1990 (all. n. 20), che tratta di un evento legato specificamente all'esatta osservanza della normativa tecnica sulle costruzioni e l'esercizio di linee aeree esterne (Legge 13 dicembre 1964, n. 1341 - D.P.R. 21 giugno 1968, n. 1062). Ad ogni buon fine, e quindi a prescindere anche dalla risoluzione della questione relativa alla natura del reato, di cui si trattera' piu' avanti, la colpa specifica, che, peraltro, ben puo' concorrere con la colpa generica, non e' nel nostro caso ipotizzabile perche': * la legge vigente (D.P.C.M. aprile 92) non disciplina espressamente le ipotesi di esposizione a lungo termine tant'e' che, come evidenziato trattando della normativa, l'art. 4 fissa valori-soglia limitatamente agli effetti sanitari da esposizione acuta, mentre i casi Siliquini e Giovagnoli ineriscono ad ipotesi di esposizione cronica; * la ratio della disposizione sulle distanze, come gia' evidenziato sempre trattando della normativa, mira alla tutela dell'ambiente e non della salute. A proposito di tale diagnosi sulla ratio, e' opportuno evidenziare che il presidente Testa all'udienza del 6 ottobre 1997 (trascr. pag. 62), dopo aver puntualizzato che il presidente ha poteri di indirizzo, afferma testualmente: "La legge italiana e' nata da un compromesso, per cui da una parte si e' previsto un limite e dall'altra una distanza che non coincide con il limite; anche se la legge ha una sua ratio ma non e' di tipo sanitario. Noi stiamo facendo il piano di risanamento e questo piano viene verificato con il Ministero dell'Ambiente e con il Ministero dell'Industria negli accordi che abbiamo con questi Ministeri". Ed a precisa domanda del giudicante, volta a conoscere se in questi accordi fosse coinvolto anche il Ministero della Sanita', risponde: "No, il Ministero della Sanita' non ha competenze in questo campo". Come dire che la diagnosi e' condivisa anche dalla dirigenza dell'E.N.E.L. e, quindi, l'imputato Balli erra quando indica il D.P.C.M. aprile 1992 come norma di copertura sanitaria. Ma pur volendo accreditare all'art. 5 contenuti e finalita' idonee a scongiurare l'evidenziato vuoto legislativo, e' parere del giudicante che anche l'interpretazione della norma non e' di conforto alla tesi della difesa. L'espressa disposizione dell'art. 5 del decreto sulla distanza tra le abitazioni e qualunque conduttore degli elettrodotti a 380 KV, che deve essere uguale o maggiore di 28 metri, non puo', infatti, costituire norma di copertura perche' la distanza di 28 metri, peraltro violata in relazione al caso Siliquini, e' indicata come distanza minima di sicurezza, ma variabile, e non puo' rappresentare, proprio per l'incertezza in re ipsa, un limite il cui rispetto esclude l'antigiuridicita' della condotta ovvero l'elemento psicologico del reato. La disposizione, invero, appare incompleta perche' non precisa in quali casi il costruttore deve - non puo' - adottare una distanza maggiore di 28 metri ma e' comunque da escludere, perche' contraria a ogni principio di certezza del diritto, l'interpretazione che il legislatore abbia inteso demandare l'attuazione del disposto normativo all'arbitrio del costruttore. Sicche', volendo ipotizzare una finalita' di prevenzione sanitaria della norma, l'unica interpretazione possibile sarebbe quella logica che lascia al costruttore di valutare l'opportunita' di adottare una misura superiore a quella di 28 metri tutte le volte che quella misura, in base alle indicazioni della cultura scientifica, non garantisca sufficiente tutela della salute delle popolazioni. Ne consegue che la contestazione di colpa generica come prospettata dal Pubblico Ministero e' giuridicamente ineccepibile. Non e' parimenti condivisibile l'altro rilievo della difesa sul difetto dell'elemento psicologico per l'assenza di prevedibilita' dell'evento. La migliore dottrina e la piu' recente giurisprudenza concordano nel ritenere che la colpa penale generica nasce sempre e solo dall'inosservanza di norme sancite dagli usi allo scopo di prevenire eventi dannosi. Elemento costitutivo della colpa penale generica e', dunque, la semplice condotta dell'agente contraria alla normale prudenza o improntata a negligenza o imperizia. "E la normale prudenza non e' tale in ragione della maggiore o minore prevedibilita' dell'evento, ma in ragione di quel comportamento che tutti gli uomini devono tenere in determinate circostanze di tempo e di luogo, per evitare la lesione di diritti altrui" (Cass. IV, 30.05.1991, n. 5839). "La prevedibilita' dell'evento nei reati colposi", afferma ancora la Suprema Corte di Cassazione, "altro non e' che la possibilita' per l'uomo coscienzioso ed avveduto - homo eiusdem professionis et condicionis - di cogliere che un certo evento e' legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento, cioe', e' evitabile adottando determinate regole di diligenza (Cass. Sez. IV, 29.04.1991, n. 4793). Come dire che l'uomo coscienzioso ed avveduto versa in colpa ogni volta che ha le possibilita' di cogliere ed evitare il pericolo con l'uso della diligenza, e non solo nei casi di concreta rappresentazione dell'evento dannoso. Ancora il Supremo Collegio nella medesima sentenza: "Versa nella cosiddetta colpa per assunzione colui che, non essendo all'altezza del compito assunto, esegua un'opera senza farsi carico di munirsi di tutti i dati tecnici necessari per dominarla, nel caso, ovviamente, che quell'opera diventi fonte di danno anche a causa della mancata acquisizione di quei dati o conoscenze specialistiche. L'agire come membro di un determinato gruppo, o come portatore di un determinato ruolo sociale, comporta, infatti, l'assunzione di responsabilita' di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i problemi inerenti a quel ruolo, secondo lo standard di diligenza, di capacita', di conoscenze richieste per il corretto svolgimento di quel ruolo stesso". Sulla prevedibilita' degli eventi "de quibus" da parte dell'imputato Balli, dirigente dell'E.N.E.L., appare allora quanto mai opportuno proporre la risposta del collegio peritale al preciso quesito. I periti affermano: "allo stato delle attuali conoscenze, gli eventi riguardanti entrambi i periziati erano prevedibili". Un'esauriente delucidazione dell'affermazione e' contenuta nella seguente risposta del perito Comba alla domanda della difesa sul livello di prevedibilita' degli eventi: "Negli anni 1984-85 sono stato coautore dello studio Baroncelli che aveva esaminato la presenza di certi sintomi nei lavoratori delle sottostazioni elettriche, quindi all'epoca questa consapevolezza c'era nella comunita' scientifica diffusamente e c'era anche nel mondo del lavoro, perche' nell'indagine erano coinvolti i sindacati, e nell'opinione pubblica con particolare riferimento ai movimenti ambientalisti tant'e' che gia' in quegli anni il nostro istituto era stato invitato a lavorare sul problema proprio per fornire le doverose risposte. Io non posso dire se questa consapevolezza era diffusa a livello dell'E.N.E.L., lo dovra' dire l'E.N.E.L.; pero' certamente noi con l'E.N.E.L. avevamo delle riunioni. Certo se si tiene conto che in quegli anni nacque il grande progetto E.N.E.L.-C.N.R. per finanziare, con un budget di molti miliardi, le ricerche italiane sugli effetti dei campi elettrici e magnetici e che io personalmente e gli altri dell'istituto venivamo consultati dai colleghi del centro ricerche elettriche dell'E.N.E.L., allora la risposta e' si. La consapevolezza c'era anche nell'E.N.E.L." (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 46-47). Una parziale ma significativa conferma si ricava dalle spontanee dichiarazioni dell'imputato Balli che, all'udienza del 29 maggio 1998 (trascr., pag. 11), afferma: "Debbo dire francamente che negli anni della costruzione mi trovavo ad ascoltare persone disperate ed erano giustificate perche' allora l'allarme c'era". Dunque la dirigenza dell'E.N.E.L. gia' prima delle manifestazioni cittadine locali, dirette a sollecitare una scelta di percorso alternativo, conosceva i rischi per la salute connessi all'eccessiva vicinanza dei conduttori alle abitazioni ed ha, giusta l'osservazione dell'accusa pubblica, utilizzato il D.M. 16 gennaio 1991 (aggiornamento delle norme tecniche) in maniera ingannevole prospettandolo ai rivoltosi come una normativa di prevenzione sanitaria. Il riferimento al D.M. del 1991 e' l'occasione giusta per rispondere all'ironico rilievo della difesa secondo cui manca tra gli imputati il T.A.R. Emilia Romagna, responsabile di avere annullato l'ordinanza di sospensione del Sindaco di Rimini. Pur prescindendo dalla diversa finalita' della giurisdizione amministrativa rispetto a quella penale, la motivazione della sentenza in questione non appare condivisibile perche' fonda la decisione su due asserite certezze, a parere di questo giudicante, a dir poco, opinabili. Nella sentenza 21 maggio 1992, infatti, il T.A.R. afferma (all. n. 4, pagg. 12-14): * "L'impugnata ordinanza del Sindaco di Rimini si basa sul parere espresso dall'U.S.L. n. 40 la quale si limita ad un mero riferimento al contributo dei proff. Maltoni e Soffritti, dell'Ufficio di Presidenza del Circondario di Rimini, che sostiene la drastica riduzione dei limiti da esposizione ai campi magnetici, cui non puo' attribuirsi il carattere di parametro valutativo attendibile con riferimento all'ipotesi di specie per la mancata correlazione con le considerazioni svolte dagli altri componenti la Commissione stessa, in particolare con quelle operate dai dottori Rubino e Stambazzi, evidenzianti la inattuale inesistenza (sic!) di un test sicuro di cancerogenesi e correlativamente di un'incertezza del danno sanitario serio per la popolazione da esposizione a lungo termine a campi elettromagnetici". * "E' da mettere in evidenza il contrasto del suddetto contributo dei proff. Maltoni e Soffritti con le risultanze scientifiche sia a livello internazionale che nazionale cui si e' informato lo stesso Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici, in data 16 gennaio 1991, avente ad oggetto l'aggiornamento delle norme tecniche per la disciplina della costruzione e dell'esercizio di linee elettriche aeree esterne". Non e' condivisibile la prima affermazione (la sottolineata doppia negazione e' verosimilmente un errore di battitura) in quanto non pare ragionevole che si possa ipotizzare un danno per la salute solo se e' serio; e sembra addirittura aberrante l'individuazione dell'unita' di misura della serieta' del danno in un test sicuro di cangerogenesi. La seconda affermazione non e' condivisibile sia perche' gia' all'epoca buona parte della scienza ipotizzava il rischio per la salute, avendo riscontrato compatibilita' di eventi dannosi con l'esposizione, sia soprattutto perche' il riferimento al D.M. 16 gennaio 1991, come norma di copertura sanitaria, e' frutto di un' erronea valutazione della ratio del decreto stesso. Invero tale decreto, emanato dal Ministro dei Lavori Pubblici di concerto con i Ministri dei Trasporti, dell'Interno e dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, che notoriamente non hanno competenza in materia sanitaria, contiene nella premessa un richiamo "a possibili effetti sulla salute derivanti dai campi elettromagnetici", ma e' altrettanto vero che, come gia' evidenziato trattando della normativa, nessuna concreta disposizione e' stata poi adottata, tanto che tale richiamo e' stato all'epoca stigmatizzato per la superficialita' della trattazione della materia dal competente Ministero della Sanita', che, con una lettera, ha sollecitato un lavoro interministeriale evidenziando come la norma non aveva carattere sanitario di reale prevenzione. L'elettrodotto, inoltre, e' stato realizzato quando era ancora in corso lo studio del Circondario di Rimini, cui l'E.N.E.L. era stata invitata a partecipare, ed e' stato attivato quando gia' si conoscevano i risultati di tale studio che sconsigliavano la costruzione a quelle distanze. L'imputato Balli, dopo avere ammesso di essere il responsabile della progettazione e costruzione della linea (trasc. ud. 6.06.97, pag. 2), dichiara di avere eseguito la progettazione utilizzando i criteri generali che prevedono un tracciato il meno pregiudizievole possibile per le proprieta' serventi compatibile pero' con un percorso della linea dolce, senza bruschi angoli. Come gia' osservato trattando della condotta, non rientrano nella prospettazione della dirigenza dell'E.N.E.L. i pur preventivabili danni alla salute. L'imputato Balli ne fornisce la spiegazione sentenziando: "il danno alla salute e' escluso dalla scienza e dalla consulenza svolta su incarico della societa'"; ed ancora, in risposta all'accusa che gli mostra una fotografia in cui si notano i tralicci a ridosso di una rivendita di auto: "la verifica non e' solo positiva ma largamente positiva in quanto il campo magnetico era, in corrispondenza delle abitazioni in particolare, mediamente intorno a 1, 2 microtesla contr i 100 indicati nella legge"(pag. 10). Aggiunge, pero', l'imputato che l'E.N.E.L. ha una direzione studi e ricerche ed ha istituito un apposito gruppo per seguire con particolare cura questo problema (pag. 10); e a domande precise dell'accusa pubblica, dirette a conoscere se egli durante la costruzione dell'elettrodotto avesse avuto contatti con l'Istituto Superiore di Sanita', cosi' testualmente risponde: "Avevo contatti perche' era una questione di interesse vitale, perche' dovevo sapere, dovevo essere informato nel corso di tutti questi contatti che avevamo in cui c'era sempre qualcuno che usciva con l'ultima memoria..."(pag. 33). Ed ancora: "Certo io sapevo, non leggevo tutto quanto perche' sono praticamente incomprensibili per noi, pero' le conclusioni si', e comunque qualunque conclusione di tipo medico scientifico che ognuno di noi personalmente puo' trarre da una memoria singola non ha peso se non e' uno specialista" (pag. 34). Qualcosa di piu' sul punto dice l'imputato Negroni il quale nel corso dell'interrogatorio (trascr. ud. 6.06.97, pag. 56 e segg.) afferma testualmente: "Sono stato direttore generale dell'E.N.E.L. dal 1984 al 1992. Sono entrato in questa questione dell'appalto perche' i limiti di importo dell'opera da realizzare rientravano nel novero delle cariche che potevano essere assegnate solo su proposta del direttore generale. Come ha gia' illustrato Balli, e questo e' un indirizzo preciso della direzione generale che era stato dato da quando si parlava di problemi ambientali, in particolare di salute, che le procedure di progettazione avvenissero anche con approfondimenti molto superiori a quelli che prescrivevano le leggi in atto. Tant'e' che noi dell'E.N.E.L. avevamo indicato e dato mandato alla direzione degli studi e ricerche di seguire giorno per giorno sul piano nazionale e internazionale, tutta quella che era l'evoluzione degli studi e approfondimenti in materia ambientale. Il progetto ha impegnato circa otto anni da quando si e' cominciato fino a quando si e' arrivati alla definizione del decreto e quindi all'approvazione della gara". Dunque la dirigenza dell'E.N.E.L., e in particolare il dirigente Balli, oggi imputato, non solo non ignorava gia' all'epoca dei fatti le dispute scientifiche con i diversi esiti diffusamente esaminati, ma, dando credito unicamente alle risoluzioni negative offerte dai suoi consulenti, ha optato per la politica utilitaristica ben sapendo che (sono le testuali parole dell'imputato Balli) la questione relativa al rischio da esposizione era una questione di interesse vitale. Ne' appare giuridicamente irrilevante, anzi rafforza il convincimento anche sulla prevenibilita' dell'evento, la diversa interpretazione della frase del Balli nel senso che la soluzione del problema avrebbe potuto incidere sulla stessa sopravvivenza dell'azienda. Che tale fosse all'epoca e sia tuttora l'atteggiamento unanime dei dirigenti dell'E.N.E.L. e' confermato dalle deposizioni dell'Ing. Conti Renato, dipendente responsabile del Progetto Campi Elettromagnetici della Struttura Ricerche, e del presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa. Il primo afferma, in sintesi (trascr. ud. 3.10.97, pag. 5 e segg.): "L'E.N.E.L. si interessa di questo problema dal 1974 con proprie e sponsorizzate ricerche. Dal 1989 aderisce ad un grosso progetto gia' avviato dal C.N.R. Alla luce delle mie conoscenze e delle conoscenze della comunita' scientifiche, che poi si sono riflesse nella normativa italiana, non esiste alcuna associazione consistente tra esposizione ai campi magnetici e malattie tipo cefalee. Ho personalmente partecipato, quale ingegnere, alle ricerche congiunte C.N.R.-E.N.E.L.". L'ing. Conti non riferisce del vivace dibattito scientifico sul problema per il semplice motivo che all'E.N.E.L. interessano solo gli studi negativi, quelli che escludono o che comunque non danno certezza del nesso eziologico. E nel tentativo di chiudere il discorso afferma di avere personalmente sentito in un recente congresso il perito Comba fare riferimento alla prossima uscita di un nuovo documento I.S.T.I.S.A.N. con l'aggiornamento della metanalisi degli studi epidemiologici piu' tranquillizzanti. Affermazione inesatta, se non menzognera, perche' Comba, citato nuovamente a comparire, ha smentito la circostanza, e nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 98 (all. n. 15), di cui si e' gia' detto, non solo non si fa cenno a maggiore tranquillita' ma si legge che i risultati degli studi scientifici sono passati dal terreno della probabilita' a quello dell'alta probabilita'. Ma la verifica definitiva sull'irrinunciabilita' dell'indirizzo scelto dall'E.N.E.L. e' fornita dal suo piu' autorevole esponente e cioe' Il presidente Testa, che ricordiamo ancor prima come risoluto promotore del piu' volte citato disegno di legge 1993 (all. n. 8). Testa, in quel disegno, si associa al professor Cesare Maltoni, direttore dell'Istituto di oncologia di Bologna, che aveva in piu' occasioni formulato la raccomandazione di ricorrere a soluzioni tecnologiche idonee a ridurre drasticamente i livelli espositivi risultati rischiosi dalle ricerche fino ad allora disponibili (l'Istituto Superiore di Sanita' gia' in precedenza aveva fissato il limite di rischio in 0,2 microtesla), in attesa di piu' ampi e approfonditi studi epidemiologici e sperimentali. "Al prof. Maltoni", afferma con orgoglio Testa, fresco presidente dell'E.N.E.L. dal giugno 1996, sull'inserto dell'Unita' Mattina Emilia Romagna del 6 novembre 1996 (all. n. 12 in atti), "abbiamo dato l'incarico di effettuare una ricerca lunga e dettagliata che verifichi la reale portata dei campi magnetici e tutti gli effetti che ne derivano. Quando avremo in mano dati precisi, potremo parlarne con piena cognizione". Dati pero' che non sono mai pervenuti semplicemente perche' al prof. Maltoni e' stato revocato l'incarico in quanto Maltoni sul problema rischio da esposizione aveva una sua convinzione scientifica e la manifestava con molta forza e molta fermezza (cfr. dich. Testa, trascr. ud. 3.10.97, pagg. 41-43). Chiamato a dare spiegazione sulla revoca, Testa afferma (pag. 43): "Sono state riscontrate da parte del prof. Maltoni atteggiamenti in contrasto con la serenita' - diciamo - e la distanza che questo tipo di incarico avrebbe, a parere dell'E.N.E.L., richiesto". Nella lettera di revoca dell'incarico (all. n. 22), si legge tra l'altro: "Siamo venuti a conoscenza, con viva sorpresa, delle dichiarazioni rilasciate dal prof. Maltoni...nelle quali assume una posizione aprioristica sulla nocivita' dei campi magnetici, dando quindi per scontati dei risultati di cui la ricerca in oggetto avrebbe dovuto se del caso, dare dimostrazione. Alla luce di quanto sopra non possiamo che manifestare il nostro fermo dissenzo per tale comportamento che, oltre a recare concreto danno alla nostra Societa'.....". Pare superfluo evidenziare quali fossero e siano le non gradite e dannose convinzioni scientifiche del prof. Maltoni ma e' opportuno lumeggiare come quelle convinzioni fossero pienamente condivise dal Testa On. Deputato e siano, viceversa, abiurate dal Testa presidente dell'E.N.E.L. Viene solo da chiedersi se l'atteggiamento dei dirigenti dell'E.N.E.L., responsabili, a dire del presidente Testa (trascr. ud. 3.10.1997, pag. 42), della revoca, cui comunque egli non si e' opposto, sarebbe stato lo stesso qualora il prof. Maltoni avesse espresso convinzioni negative sul rischio da esposizione. Dichiara ancora il presidente Testa (pag. 44): " Abbiamo preso contatti con l'Organizzazione Mondiale della Sanita', che e' certamente istituto al di sopra di ogni parte, per organizzare insieme iniziative in cui possono essere invitati ricercatori e studiosi di tutto il mondo a confrontare le loro opinioni". Quindi per la dirigenza dell'E.N.E.L. il problema non solo esisteva ma esiste attualmente in tutta la sua gravita' se si pensa ad un confronto cosi' ampio e titolato. E conseguentemente non dice il vero l'imputato Balli quando afferma che l'allarme di un tempo e' cessato perche' "adesso la situazione e' del tutto opposta, ci sono stati 500-600 studi che escludono, smitizzano" (trascr. ud. 29.05.98, pag.11). E sempre Testa (trascr. ud. 3.10.97, pagg. 50-51): "Io non mi sento di escludere nulla perche' tanti anni di attenzione a questi problemi mi hanno portato ad una posizione di estrema cautela rispetto a questo tipo di problema. Da privato cittadino io non mi sono fatto la convinzione che ci siano rischi sanitari da elettromagnetismo. Ho detto che non mi sento di escluderlo, come dicono giustamente tutti i ricercatori scientifici e tutte le persone che hanno del buon senso, ma onestamente non mi sono fatto la convinzione che l'elettromagnetismo sia un problema di ordine sanitario". Pur non dubitando dell'onesta' culturale del dott. Testa (egli stesso ammette che all'epoca della presentazione del disegno di legge 1993 era presidente della Legambiente ed aveva avuto per svariati anni discussioni con l'E.N.E.L.), che a differenza degli altri dirigenti non elargisce certezze, non si puo' non dare risalto al baratro tra le convinzioni del cittadino Onorevole e presidente di Legambiente e quelle espresse dal cittadino presidente dell'E.N.E.L. E' nel contesto di tali risultanze dibattimentali, applicando il dianzi citato principio della cosiddetta colpa per assunzione, che va valutata la prevedibilita' e prevenibilita' degli eventi in danno di Siliquini Luigi e Giovagnoli Raffaele, non ignorando che la valutazione dell'assunzione del rischio in assenza di certezze negative sugli effetti dell'esposizione ai campi E.L.F. deve essere fatta con giudizio ex ante ma deve basarsi, non sulla concreta conoscenza del pericolo, ma sull'obiettiva idoneita' delle condizioni di conoscibilita'. Poiche' nel caso di specie le condizioni iniziali erano addirittura di concreta conoscenza del rischio, nessun ragionevole dubbio puo' essere sollevato sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato come contestato in rubrica all'imputato Balli Sergio. Ragguardevole appare, infine, l'Ordinanza emessa dalla III Sezione Civile del Tribunale di Padova in data 27.01.1999 (all. n. 23), sia perche' rappresenta un primo significativo segnale di probabile inversione di tendenza della giurisprudenza, in quanto in essa viene riconosciuta l'inidoneita' del combinato disposto degli artt. 4 e 5 del D.P.C.M. aprile 1992 a prevenire i rischi dell'esposizione a lungo termine, sia soprattutto per il riferimento all'allegato documento datato Trieste, maggio 1998 prodotto dall'E.N.E.L. in cui, nel descrivere la linea elettrica oggetto del ricorso, la Direzione dell'Unita' Distaccata Costruzioni di Trieste, afferma, tra l'altro: "In base a rilevazioni effettuate dall'E.N.E.L. e dalle A.S.L., nonche' in base a calcoli teorici effettuati ad esempio dall'IROE-CNR di Firenze, e' stato dimostrato che nelle linee a 132 KV, nelle condizioni piu' gravose (altezza minima dei sostegni e massima corrente di carico) il campo elettrico ed il campo magnetico tendono a valori prossimi allo zero (assimilabile al valore del campo naturale), e comunque inferiore al valore considerato di sicurezza di 0,2 microtesla, ad una distanza di circa 70 metri. Considerato che generalmente la corrente presente su una linea elettrica e' circa un terzo di quella prevista (a parte eventi eccezionali di brevissima durata) e che i conduttori sono sempre ad altezze superiori rispetto a quelle minime introdotte nei calcoli, la distanza per cui il valore di campo elettrico e magnetico tende ad essere inferiore a 0,2 microtesla e' normalmente compresa tra 30 e 50 metri. In base a queste considerazioni il tracciato ipotizzato e' stato collocato ad una distanza minima di 70 metri (salvo due casi in Comune di Prata in cui tale distanza e' di 50 metri; in ambedue le situazioni la linea aerea a 20 Kv afferenti le abitazioni verra' posta in cavo sotterraneo. Non e' previsto l'interramento parziale o totale della linea sia per motivi economici sia per motivi tecnici". Ogni commento alla chiarezza di tali concetti ed alla significativita' di tali dati e' sovreccedente. Il giudicante si limita ad osservare che tali limiti e tali distanze sono riferiti ad una linea a 132 KV e che la tensione della linea dell'elettrodotto Forli'-Fano e' di 380 KV. Ora e' vero che ragioni procedurali non consentono di utilizzare tali concetti e tali dati come mezzi di prova diretta in questo processo, ma e' indubitabile che, siccome sono contenuti in un documento ufficiale prodotto in un giudizio civile in cui l'E.N.E.L. mirava a dimostrare la correttezza del suo comportamento, possano essere utilizzati come elementi di riscontro nella valutazione di ciascuno degli elementi costitutivi del reato per il quale si procede. Natura del reato La differenza tra i reati istantanei e i reati permanenti, ovvero ad effetti permanenti, e' che nei primi la condotta antigiuridica si compie e si realizza definitivamente col verificarsi dell'evento mentre negli altri gli effetti antigiuridici non cessano ma permangono anche dopo il realizzarsi dell'evento. Nel caso di specie, esclusa pacificamente l'ipotesi di reato istantaneo, occorre dirimere la diatriba se il reato di lesioni colpose, cosi' come contestato in rubrica, ha natura di reato permanente ovvero ad effetti permanenti. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione il criterio distintivo tra le categorie dei reati permanenti e dei reati istantanei ad effetti permanenti va individuato in riferimento alla circostanza che gli effetti permangono anche dopo la realizzazione dell'evento in conseguenza di una intenzionale attivita' commissiva (reati permanenti), od omissiva (reati istantanei con effetti permanenti). La prevalente giurisprudenza della Corte Suprema, inoltre, "propugna la natura unitaria del reato permanente: nel quale, cioe', il fatto che lo costituisce non si esaurisce uno actu ed uno tempore, ma si protrae nel tempo finche' perdura la situazione antigiuridica dovuta alla condotta volontaria del reo e questi non lo fa cessare" (Cass. Sez. un., ud. 13.07.1998 - dep. 22.10.1998, Montanari) Esattamente come e' avvenuto ed avviene nel caso dell'elettrodotto Forli-Fano che dalla data di attivazione ad oggi non ha mai cessato di erogare corrente. La concezione normativamente ed intrinsecamente unitaria del reato permanente importa, percio', che la permanenza del contestato reato di lesioni colpose si protragga in ragione del perdurare della condotta correlata alle lesioni in danno di Siliquini Luigi e Giovagnoli Raffaele fino alla data dell'odierna sentenza. E cio' ritenendo non violati i principi della contestazione e della corrispondenza tra l'accusa e la sentenza ancorche' risultino indicate nel capo d'imputazione sia la data dell'inizio della condotta delittuosa sia la data a tutt'oggi, erroneamente prospettata, quest'ultima, come momento interruttivo della permanenza. Non ignora il giudicante il principio della certezza della contestazione per il quale quando il capo di imputazione contiene, oltre alla data iniziale anche quella finale, essendo il fatto temporalmente delimitato, non si puo' far carico all'imputato di addebiti che non formino oggetto di contestazioni suppletive. Nel caso di specie, pero', l'accusa non ha dedotto un preciso arco temporale; anzi l'uso dell'avverbio "tutt'oggi" costituisce un'implicita contestazione di permanenza e serve ad evidenziare proprio che la condotta e' perdurante e la permanenza non e' cessata; e siccome non era possibile indicare a priori il momento finale della permanenza per la semplice ragione che il reato, proprio perche' permanente, dura finche' non si esaurisce, l'uso del citato avverbio va inteso come descrittivo di una permanenza ancora in corso al momento della contestazione. Tale situazione giuridica e' paritetica a quella della contestazione di un reato permanente con l'indicazione della sola data iniziale della permanenza (o della data di accertamento) nella quale "la permanenza stessa, intesa come dato della realta', e' compresa nella imputazione per la logica ed essenziale connotazione del fatto storico che integra l'accusa" (Cass. Sez. un., Montanari, cit.). Su tale ultima ipotesi di situazione giuridica le Sezioni unite, con la stessa decisione e riprendendo un principio gia' affermato in precedenza sempre dalle medesime Sezioni, afferma: "Nel caso in cui l'originario capo di accusa indichi soltanto la data dell'accertamento del reato permanente, ascrivendo all'imputato una condotta ancora perdurante a quella data, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l'ulteriore eventuale protrazione della permanenza, la quale, pertanto, puo' essere valorizzata dal giudice del dibattimento ad ogni effetto penale, senza che sia richiesta a tal fine una contestazione suppletiva; con l'ulteriore conseguenza che, in presenza di siffatta situazione, l'intrinseca idoneita' del tipo di reato contestato a durare nel tempo, anche dopo l'avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che l'imputato sia chiamato a difendersi, sin dall'origine, non soltanto in ordine alla parte gia' realizzatasi della fattispecie, ma anche con riguardo a quella successiva perdurante sino alla cessazione delle condotte o dell'offesa e comunque non oltre la sentenza di primo grado". All'esito dell'istruttoria dibattimentale deve, quindi, ritenersi pienamente provata la penale responsabilita' dell'imputato Balli Sergio in ordine al delitto di lesioni colpose gravi, in danno di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, commesso fino alla data dell'odierna sentenza. Possono concedersi a Balli Sergio le circostanze generiche prevalenti per l'incensuratezza. Tenuto conto dei criteri ex artt. 133 c.p., ed in particolare della gravita' del reato desunto dall'acclarata pericolosita' dei campi magnetici, che trova parziale riscontro nell'entita' delle lesioni cagionate, stimasi equa la pena di mesi tre di reclusione (pena base mesi quattro, ridotta di un terzo ex art. 62 bis c.p. ed aumentata di giorni dieci ex art. 81, comma 1, c.p.) oltre al pagamento delle spese processuali. La prognosi favorevole ex art. 164 c.p. e l'incensuratezza dell'imputato Balli Sergio, consentono la concessione dei doppi benefici di legge. All'esito dell'istruttoria dibattimentale e' provato che la condotta dell'imputato Balli Sergio e' stata causa diretta di danno per tutte le parti civili ammesse. Non essendo provato il danno nel suo preciso ammontare, pur se indicato, va pronunciata condanna generica con rinvio alla sede civile per la liquidazione. Poiche' la parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi hanno ritualmente citato il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., l'imputato Balli Sergio va condannato in solido con il legale rappresentante pro-tempore del medesimo responsabile civile alla condanna generica al risarcimento del danno, salva una provvisionale, immediatamente esecutiva, di lire 2.000.000 in favore di ciascuna delle parti civili, a puro titolo di risarcimento di danno morale simbolico. L'imputato Balli Sergio ed il responsabile civile vanno inoltre condannati alla rifusione delle spese di costituzione e difesa in favore sia delle parti civili ammesse sia degli enti esponenziali intervenuti, liquidate come in dispositivo. In particolare sulle spese processuali in favore degli enti esponenziali intervenuti, il diritto al rimborso e' del tutto legittimo, in quanto l'intervento delle associazioni e' previsto dalla legge e le spese seguono la soccombenza a favore di tutti i soggetti comunque legittimati a far valere la domanda (cfr., per tutte, Cass. pen., sez. III, 10 novembre 1993). Non puo' trovare accoglimento la richiesta di pubblicazione della sentenza per la sua obiettiva inidoneita' a costituire mezzo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla parti civili. Puo', viceversa, trovare accoglimento la richiesta di condanna alla riduzione in pristino, finalizzata a far cessare gli effetti dannosi della permanenza del reato, tenuto conto anche che l'E.N.E.L. ha indirettamente riconosciuto, nel citato documento acquisito al procedimento civile davanti al Tribunale di Padova (all. n. 23), l'inadeguatezza delle distanze dell'elettrodotto Forli'-Fano dalle abitazioni di Giovagnoli e Siliquini in relazione al valore dei campi magnetici di 1,5 - 2 microtesla, nelle stesse rilevato, contro il valore-soglia di 0,2 microtesla, considerato di sicurezza dallo stesso ente. Idonea a far cessare la permanenza del reato e' la disattivazione di corrente nel tratto di linea che interessa le abitazioni di Siliquini e Giovagnoli e congruo si ritiene il termine di mesi uno dal passaggio in giudicato della presente sentenza entro il quale dare esecuzione al punto della condanna, salva l'attuazione in tempi minori di adeguata misura di risanamento quale, per esempio, l'interramento dei cavi. P. Q. M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA BALLI Sergio colpevole del delitto ascritto, commesso fino alla data odierna, e, concesse le attenuanti generiche prevalenti, lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 163 e 175 c.p., concede a Balli Sergio il beneficio della sospensione della pena alle condizioni di legge e ordina la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Visti gli artt. 538, 539, 540 e 541 c.p.p., CONDANNA l'imputato Balli Sergio al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita Comune di Rimini, da liquidarsi in separata sede, nonche' alla rifusione, verso la stessa parte civile e le associazioni intervenute a norma dell'art. 93 c.p.p., delle spese processuali che liquida in complessive lire 12.930.000, di cui lire 930.000 per spese vive e lire 10.000.000 per competenze ed onorari, in favore del Comune di Rimini; in complessive lire 3.070.000, di cui lire 70.000 per spese vive e lire 3.000.000 per competenze ed onorari, in favore dell'associazione Legambiente; in complessive lire 3.141.000, di cui lire 141.000 per spese vive e lire 3.000.000 per competenze ed onorari, in favore dell'associazione W.W.F. Italia, oltre, per tutte, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Condanna inoltre l'imputato Balli Sergio in solido con il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi da liquidarsi in separata sede, fatta salva una provvisionale immediatamente esecutiva in favore delle stesse che, in difetto di prove specifiche sull'entita' del danno, liquida in lire 2.000.000 ciascuna a puro titolo di danno morale simbolico, nonche' alla rifusione verso le stesse parti civili delle spese processuali che liquida in complessive lire 7.751.230 per ciascuna di esse, di cui lire 801.230 per spese vive e lire 6.950.000 per onorari e competenze, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. Condanna infine il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla riduzione in pristino della situazione quale era prima della data di attivazione dell'elettrodotto, e cio' mediante la disattivazione di corrente nel tratto di linea che interessa le abitazioni di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, entro e non oltre il termine di mesi uno dal passaggio in giudicato della presente sentenza, salvo che in tempi minori non sia attuata idonea azione di risanamento. Visto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE NEGRONI Alberto e COLUCCI Elio dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto e CERIOLI Italo, SILVESTRI Claudio, GISLIMBERTI Giuliano e BRUGNA Ermanno dal reato loro ascritto perche' il fatto non costituisce reato. Motivazione nei novanta giorni. Cosi' deciso in Rimini, all'udienza del 14 maggio 1999. IL PRETORE Dott. Fortunato R. Barone