Tribunale Civile di Bologna Sentenza 14 giugno 2001 n.3331/2001 Reati commessi col mezzo della stampa - Diffamazione - Responsabilita' civile del content provider. Si prevede l'applicazione analogica della norma dell'art.11 L. n.47/48 al content provider, secondo la quale "per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore". Affermando che diversamente argomentando, si otterrebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra la tutela di diritti violati on líne e quelli violati con altri mezzi di diffusione (off line) e venendosi, inoltre, a riconoscere la possibilita' di esercizio, senza alcun controllo, di un'attivita' che puo' essere fonte di danni di rilevante entita' per il numero potenzialmente assai elevato dei destinatari dell'informazione telematica. Venendo al merito, la dott.ssa Musti ha svolto le funzioni di P.M. nel procedimento penale promosso, davanti al Tribunale di Bologna, nei confronti di Marco Dimitri, di Piergiorgio Bonora, e di altri adepti della setta satanica "I bambini di satana", imputati di reati gravissimi, tra cui il sequestro di persona e la violenza carnale in danno di minori. Il procedimento si e' concluso con l'assoluzione di tutti gli imputati e la decisione e' stata confermata in sede di gravame (v. sentenza Trib. Bologna n.210/97 prodotta da Roberto Bui). La vicenda ha avuto ampio eco sulla stampa e, nel 1997, la Castelvecchi Editoria pubblico' il libro di Luther Blisset "Lasciate che i bimbi - Pedofilia. un pretesto per la caccia alle streghe", che nel capitolo di 32 pagg. dal titolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura!" affronta, con taglio critico, la vicenda giudiziaria di Marco Dimitri e degli altri adepti alla setta. Allo stile asciutto della cronaca giornalistica si alterna quello personale dell'autore dello scritto volto alla critica dell'attivita' giudiziaria che porto' alla formulazione dell'accusa a carico degli imputati. Cio' posto, si tratta di verificare se i passi del libro, indicati in citazione, rientrino nel legittimo esercizio de1 diritto di cronaca e di critica giudiziaria come sostenuto dalle societa' convenute e dal Bui, o, invece, costituiscano illecita violazione della reputazione, e dell'identita' personale della dott.ssa Musti. E' principio ormai consolidato in giurisprudenza che la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore, possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca, e quindi non comportare responsabilita' civile per violazione del diritto all'onore, qualora ricorrano tre condizioni: a) utilita' sociale dell'informazione; b) verita' oggettiva, o anche solo putativa, purche' frutto di diligente lavoro di ricerca; c) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e che sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta (requisito c.d. della continenza) (v. per tutte la nota sentenza della S.C. n.5259/84). Meno ristretti sono i limiti del diritto di critica che costituisce un'ulteriore forma di estrinsecazione della liberta' di pensiero, riconosciuta e protetta, quale diritto fondamentale, dall'art. 21 Cost.. La critica, a differenza della cronaca, che e' esposizione obiettiva di fatti allo scopo di informare il lettore, consiste in una attivita' essenzialmente valutativa volta ad esprimere il proprio consenso o dissenso rispetto alle opinioni o alle condotte poste in essere da altri. All'esercizio del diritto di critica puo', dunque, essere naturalmente connessa anche una valenza aggressiva nei confronti del suo destinatario e ad esso mal si attaglia il requisito della verita', in quanto un'opinione difficilmente puo' essere accertata come vera o falsa. Tuttavia, la critica, per essere legittima, deve trarre spunto da fatti veri, e non artatamente manipolati per sostenere la stessa tesi critica. E' poi pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che anche il diritto di critica, che ben puo' riguardare l'attivita' giudiziaria, e' soggetto al limite della continenza della forma espositiva e del perseguimento dell'interesse pubblico. Sotto il primo profilo, il rispetto del limite si concretizza nella correttezza del linguaggio, nel mancato uso di espressioni contumeliose, nel divieto di accostamenti suggestivi. L'interesse del soggetto criticato alla tutela del proprio onore, comporta, infatti, che la critica al suo operato o alle opinioni da lui espresse debba essere misurata e quindi dotata della minor efficacia lesiva possibile, rispetto al legittimo risultato di valutazione o di censura che si intenda perseguire. Occorre, quindi, analizzare, alla luce dei principi sopra esposti, i singoli passi del libro "Lasciate che i bimbi" denunciati dall'attrice come lesivi del suo onore e della sua immagine professionale, e che sono i seguenti: a) il processo contro il gruppo bolognese dei Bambini di Satana rappresenterebbe "una delle piu' vaste campagne repressive e giustizialiste degli ultimi anni: una caccia alle streghe, come a Salem (Massachusset) 1692"; b) Lucia Musti occuperebbe "la prima fila dei fomentatori d'odio e degli strateghi della tensione" (pag.39); c) sarebbe "personaggio assetato di protagonismo e di luci della ribalta" (pag.24); d) "rilascia interviste e dichiarazioni allarmistiche un giorno si' e l'altro pure" (pag.39) per "dare l'idea di una Bologna sotto assedio alla merce' di satanismi in liberta' pronti a sabotare la sua inchiesta. Questo affinche' i media la rappresentino come una prode Giovanna d'Arco" (pag.42); e) come P.M. sarebbe stata pronta "ad incanalare e strumentalizzare" il rancore sentimentale dell'ex fidanzata di uno degli imputati per farle "vomitare un fiume in piena di particolari incredibili" (pag.30) ad indurre la stessa teste a simulare un malore durante il dibattimento per impedire alla difesa di interrogarla (pag. 50) a shockare e strumentalizzare un bambino per indurlo a dire di essere stato vittima di atti di libidine durante una messa nera (pag.48, 30, 31); f) essa attrice verrebbe calunniosamente definita "magistrato arrivista" (pag.30) "personaggio odioso ed insopportabile" (pag.43) "Torquemada" (pag.43) sino all'invettiva finale "via alla poubelle de l'histoire! Musti, odiosa e gracchiante viceprocuratora ha regalato al mondo uno dei piu' gravi atti di persecuzione giudiziaria e culturale della storia delle sottoculture giovanili. Voleva diventare la Di Pietro dell'intolleranza religiosa, ma non si e' accorta che gia' tramontava l'epoca in cui le masse applaudivano adoranti le manie di protagonismo dei magistrati. Anche ella e' destinata al suddetto luogo di trotzkiana memoria" (pag. 106 ? par. "il caso e' chiuso"). Orbene, per quanto concerne il presupposto che le notizie e gli argomenti trattati nel libro rivestano interesse pubblico, nulla quaestio. In merito agli altri presupposti, il Bui e le societa' convenute contestano la valenza lesiva dei passi sopra riportati sul rilievo che l'attrice avrebbe artatamente collegato "parole , frasi" e "periodi" del testo, in maniera tale da farli erroneamente apparire come riferiti alla sua persona, mentre invece, gli stessi passi, se correttamente letti nel foro contesto, evidenzierebbero l'assenza di ogni intento denigratorio della sua immagine, umana e professionale. In ordine al passo sub a) assumono, in particolare, che la frase tra virgolette non farebbe riferimento al processo contro i Bambini di Satana ed alla dott.ssa Musti, bensi' a tutti gli episodi riportati nel i libro. La frase rappresenterebbe, in sostanza, la presentazione della tesi dell'autore secondo cui la recente emersione, in molti paesi e non solo in Italia, dell'allarme sociale sul tema della pedofilia, avrebbe costituito il pretesto per scatenare alcune ingiustificate "cacce alle streghe" proiettando sul mostro (il presunto pedofilo) tutte le angosce collettive di una societa' insicura ed inquieta, e cio' indipendentemente dalla reale necessita' di proteggere l'infanzia dai possibili abusi degli adulti. L'assunto non puo' essere condiviso. E' vero che nel passo in oggetto non viene fatto espresso riferimento alla dott.ssa Musti, ma tuttavia, costituendo il suo operato nell'ambito del processo penale in questione, il tema di uno dei capitoli del libro, non puo' porsi in dubbio che la predetta venga presa come esempio emblematico di quel teorema sulla "caccia alle streghe" delineato nell'introduzione dell'opera. E tale intento dell'autore e' reso del tutto evidente nei passi riportati sub a), b), c), g), ed e) ove si legge, ed il riferimento e' esplicito e testuale, che la dott.ssa Musti occupa "la prima fila dei fomentatori d'odio e degli strateghi della tensione", e' "personaggio assetato di protagonismo e di luci della ribalta", "magistrato arrivista" che unitamente a preti e pennivendoli avrebbe "incanalato e strumentalizzato" il rancore della teste chiave "Simonetta" ex fidanzata di uno degli imputati, "proprio come la caccia alle streghe di Salem" (che l'epiteto "magistrato arrivista" sia riferito, alla pag. 30 del libro, all'attrice non e' da porsi in dubbio, riferendosi l'autore a coloro i quali hanno dato via all'inchiesta sui Bambini di Satana). Contrariamente a quanto sostenuto dalle convenute e dal Bui i passi riportati, proprio se letti nel loro contesto, effettivamente descrivono la dott.ssa Musti come facente parte di un asserito complotto tra la Curia di Bologna, gli organi di informazione e le autorita' inquirenti, volto alla demonizzazione ed alla repressione di ogni devianza sociale o sessuale. E'pertanto chiaro l'intento dell'autore di fornire un'immagine dell'attrice come magistrato che ha esercitato l'azione penale non a tutela del pubblico interesse per perseguire fatti gravissimi, ma per fini repressivi e per motivi di personale tornaconto (per apparire quale prode "Giovanna d'Arco" - sub d -) estranei alla sua funzione. La dott.ssa Musti viene, addirittura, definita come "odiosa e gracchiante viceprocuratora" e la si accusa dio aver regalato al mondo uno dei piu' gravi casi di persecuzione giudiziaria (.) e cio' perche' voleva diventare la Di Pietro dell'intolleranza religiosa" (sub.G) tant'e' che la sua persona viene persino accostata, in maniera suggestiva, a quella del grande inquisitore Torquemada (pag. 43). Cose che esulano sicuramente dai limiti di una corretta analisi critica dell'attivita' giudiziaria. Basti dire l'operato dell'attrice non viene giudicato erroneo o arbitrario sulla base di una ragionevole valutazione di fatti veri. Ed infatti la tesi dell'autore, secondo cui la dott.ssa Musi avrebbe perseguito scopi antitetici a quelli giurisdizionali per dare sfogo a manie di protagonismo, viene esposta senza il benche' minimo supporto motivazionale, il che e' sicuro indice di una volonta' di mera aggressione libellistica. Per quanto riguarda, invece, il passo sub D), ove si legge che la dott.ssa Musti "rilascia interviste e dichiarazioni allarmistiche un giorno si e l'altro pure", lo stesso non sembra travalicare i limiti del diritto di cronaca e di critica in quanto l'autore, sia pure in maniera colorita, riferisce un fatto non del tutto lontano dal vero. E'infatti documentato in causa che l'attrice ebbe molti contatti con la stampa in merito all'andamento delle indagini ed alla ritenuta fondatezza della sua ipotesi accusatoria. Parimenti non lesivi appaiono alcuni dei passi sub E). A pag. 31 si legge "Nei mesi successivi Simonetta (teste chiave dell'accusa) vomitera' un fiume di particolari sempre meno credibili, tra cui l'omicidio rituale di un immigrato africano, ucciso a coltellate e quello di un bimbo rom (.)". L'autore si riferisce, dunque, esclusivamente alla teste "Simonetta", a suo parere assolutamente inattendibile, ma non accusa l'attrice di avere indotto la predetta a fare quelle rivelazioni che portarono all'apertura dell'inchiesta. Come pure non risponde al vero che l'autore abbia sostenuto che la dott.ssa Musti avrebbe indotto "Simonetta" a simulare un malore durante il dibattimento, ed avrebbe shockato il piccolo Federico di soli due anni per portarlo a riferire particolari agghiaccianti sulle presunte violenze subite. A pag. 50 l'autore si limita, infatti, a riferire dello svenimento, in aula, della teste con conseguente interruzione del suo controesame da parte della difesa, mentre a pag. 30 informa che, con il proseguire dell'inchiesta, nell'opinione pubblica inizio' ad insinuarsi il dubbio che il piccolo Federico non fosse credibile per essere "shockato e strumentalizzato". Quanto sopra esposto non vale, tuttavia, a ridurre l'efficacia lesiva del libro "Lasciate che i bimbi", ed, in particolare, del capitolo dedicato al processo in questione e del paragrafo "Il caso e' chiuso", pagg. 105?107. Non e' infatti contestabile che la lettura complessiva di quelle parti dell'opera, in considerazione dei toni, degli argomenti e delle espressioni ingiuriose adottate, offra un'immagine dell'attrice quale sorta di braccio secolare della nuova inquisizione, magistrato privo di equilibrio e professionalita', dedito al conseguimento della propria notorieta' a scapito dei diritti di liberta' e di giustizia delle persone inquisite. Il che supera chiaramente i limiti della serena ed obiettiva esposizione di fatti e della corretta valutazione dell'operato della dott.ssa Musti, concretizzando una indebita lesione della sua reputazione professionale e della sua identita' personale. Privo di pregio e' il riferimento del Bui e delle societa' convenute al diritto di critica satirica. Per satira si intendono quelle forme di espressione volte alla critica di personaggi noti al pubblico o di episodi di significativo interesse collettivo, mediante una rappresentazione idonea a suscitare ilarita' che renda palese il carattere dell'inverosimiglianza e dell'esagerazione. Il che non ricorre nel caso di specie ove si consideri che la rappresentazione dei fatti che emerge dall'opera in questione, esula dai confini di una interpretazione forzata, buffa o maliziosa di un accadimento reale per divenire, invece, allusione gratuita a circostanze prive del benche' minimo riscontro oggettivo (legame tra l'attrice, e la nuova inquisizione). Il carattere offensivo del libro "Lasciate che i Bimbi" non poteva non essere palese al suo autore il che e' sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo del reato di diffamazione. Da cio' consegue la responsabilita' civile dell'editore, societa' Castelvecchi, ai sensi degli artt. 2059 c.c., 185 c.p. e 11 L.n.47/48 per i danni cagionati all'attrice. La dott.ssa Musti lamenta, altresi', la portata denigratoria di due testi brevi, rinvenibili sul sito internet gestito dalla societa' Cybercore s.a.s.: il primo intitolato "I Carlini di Satana", in cui si insisterebbe sul suo atteggiamento persecutorio nei confronti degli imputati ("Lucia Musti e il Tribunale del riesame vogliono comunque gli imputati in galera"), ed il secondo intitolato "La verita' e' elettrica, e si diffonde, si diffonde, si diffonde" contenente le osservazioni "a caldo" di Blisset dopo la prima udienza del processo i Bambini di Satana, in cui verrebbero svolti gli argomenti e le tesi poi ampiamente esposti nel libro "Lasciate che i Bimbi". L'assunto puo' essere condiviso solo per quanto riguarda tale secondo scritto. Le frasi di cui la dott.ssa Musti si duole sono le seguenti "Cazzo, tutto questo e' gia' successo, questo processo e' la fotocopia di quelli svolti negli USA negli anni '80, stesse cazzate, stesse testimonianze, stessi errori da parte di psichiatri, preti ed assistenti sociali, stessa cecita' di inquirenti e giornalisti. Ognuno di quei casi ebbe origine dalla mentalita' disturbata di una Simonetta, e dal fraintendimento dei farfugliamenti pre verbali di un Federico trasformato dalla Lucia Musti di turno in una crociata contro i fantasmi" ...."nelle ricostruzioni della vicenda si insinua il dubbio - e anche qualcosa di piu' - che Simonetta sia inattendibile, neurolabile e manovrata da Lucia Musti, che il piccolo Federico sia shockato e strumentalizzato" ... "Repubblica ha poi intervistato Dimitri (che per una volta si e' difeso bene e ha puntato l'indice contro il GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette ? n.d.r. da pag.24 "Lasciale che i bimbi"); la Musti si e' incazzata di brutto e dichiarato all'ANSA che Dimitri non ha il diritto di rilasciare interviste! Segnale premonitore di un esaurimento nervoso?)". Evidente, anche in questo caso, e' l'intento denigratorio dell'autore del testo, come e' chiara la sua volonta' di fare apparire l'attrice come simbolo dell'intolleranza religiosa e sociale, e di screditarne l'operato descrivendola come magistrato privo di' equilibrio, e persona tesa solo al perseguimento del proprio intento vessatorio nei confronti degli imputati. Non altrettanto puo' dirsi del brano "I Carlini di Satana ovvero: un anno di canditi allo Zolfo". In questa occasione Luther Blisset ha illustrato, in chiave critica, le modalita' con cui il quotidiano "Il Resto del Carlino" ha seguito lo sviluppo dell'inchiesta sui Bambini di Satana, ed il riferimento diretto all'attrice, laddove si legge "Ma Lucia Musti e il Tribunale del riesame vogliono comunque gli imputati in galera (.)" non appare superare i limiti del diritto di cronaca in quanto l'autore, sia pure con toni aspri e con espressioni prive di rigore tecnico giuridico; ha riferito un fatto vero e cioe' che il P.M. nel corso delle indagini chiese l'applicazione agli imputati della misura cautelare della custodia in carcere. Tanto premesso in fatto, si tratta ora di accertare se le societa' convenute siano o meno responsabili della diffusione telematica degli scritti lesivi dell'onore e della reputazione dell'attrice. A tale proposito la societa' 2008 Comunicazione sostiene che quale service provider con accesso alla rete internet, essa si era limitata ad ospitare, in apposita diectory, il materiale immesso da Luther Blisset, al quale aveva offerto gratuitamente lo spazio sul proprio sito "per affinita' culturale e di area, trattandosi di una delle voci piu' originali ed indipendenti della scena italiana"; e che pertanto, non avendo il service províder alcun potere e dovere di controllo sul materiale ospitato e redatto da altri, andrebbe esclusa ogni sua responsabilita', per i fatti di causa, essendo la figura del service províder paragonabile a quella dell'edicolante o del libraio, rispetto ai quali non incombe alcun onere di valutazione e/o censura del materiale posto in vendita. Analoghe difese svolge la Cybercore, in merito anche alla non equiparabilita' della posizione del service provider a quella dell'editore. La stessa ha inoltre eccepito l'assenza di qualunque profilo di colpa a proprio carico, essendosi limitata a riprodurre, in via telematica, articoli gia pubblicati sulla rivista "Zero in condotta" che; all'epoca, non erano stati oggetto di alcun provvedimento giudiziario di natura sanzionatoria o cautelare. Orbene, la responsabilita' del provider (dall'inglese "fornitore") puo' essere esaminata sotto diversi profili, e cioe' con riguardo alla violazione del diritto d'autore, del diritto alla riservatezza, alla diffamazione, o alla violazione delle norme in materia di concorrenza sleale ecc.. La soluzione delle questioni di cui si discute non puo' prescindere dall'esame dei compiti e delle funzioni espletate dai c.d. operatori della rete internet. Tali soggetti possono cosi' essere classíficati: "access provider" (fornitore di accesso) "service provider" (fornitore di servizi) e "content provider" (fornitore di contenuti). Il termine access provider individua il soggetto che consente all'utente l'allacciamento alla rete telematica. Il compito dell'access provider e' per lo piu' quello di accertare l'identita' dell'utente che richiede il servizio, di acquisirne i suoi dati anagrafici e, quindi, di trasmettere la richiesta all'Autorithy Italiana affinche' provveda all'apertura del relativo sito Web. L'access provider puo' anche limitarsi a concedere al cliente uno spazio, da gestire autonomamente, sul disco fisso del proprio elaboratore. Service provider e' invece quel soggetto che, una volta avvenuto l'accesso in rete, consente all'utente di compiere determinate operazioni, quali la posta elettronica, la suddivisione e catalogazione delle informazioni, il loro invio a soggetti determinati, ecc. Content provider e', infine, l'operatore che mette a disposizione del pubblico informazioni ed opere di qualsiasi genere (riviste, fotografie, libri, banche dati, versioni telematiche di quotidiani e periodici, ecc.) caricandole sulle memorie dei computers server e collegando tali computers alla rete. Content províder e' anche chi si obbliga a gestire e ad organizzare le pagine "web" immesse in rete dal proprio cliente. Accertate, in via del tutto esemplificativa, le funzioni delle diverse figure di providers, funzioni che possono essere svolte anche da un unico soggetto, occorre stabilire se sia configurabile o meno la responsabilita' di tali operatori per gli illeciti commessi in via telematica. Per quanto concerne la figura dell'access e del service provider, sia la dottrina che la giurisprudenza tendono ad escluderla, equiparando il provider ad un latore di informazioni, al quale non puo' addossarsi alcuna responsabilita' per il fatto che il servizio da lui fornito (l'accesso alla rete internet), secondo l'impegno contrattualmente assunto, venga poi diretto dall'utente al perseguimento di scopi contrari alla legge o lesivi di diritti altrui (in tal senso: Trib. Cuneo 23.6.97, Milano Finanza Editori s.p.a./STS Servizi Telematici di Borsa, LRC). Diversa e' la posizione del content provider, il quale - generalmente viene invece riconosciuto responsabile per le violazioni di legge commesse mediante il materiale immesso in rete, e tale orientamento va condiviso. Ed invero, non puo' porsi in dubbio che il caricamento di un'opera nella memoria del computer collegato in rete costituisca riproduzione, e che la trasmissione da un computer ad un altro costituisca diffusione a distanza. La responsabilita' del content provider, per il contenuto lesivo degli scritti resi conoscibili a terzi, trova, pertanto, la propria fonte nel divieto del neminen laedere sancito dall'art. 2043 c.c.. Come e' stato infatti osservato, il soggetto che produce o che gestisce l'informazione, a causa del ruolo che riveste, non puo' ritenersi esonerato dal dovere di controllo sulla legittimita' delle informazioni immesse sul proprio sito, obbligo di controllo che rientra nel piu' ampio dovere di diligenza professionale che incombe su ogni operatore economico, quale componente del rischio d'impresa. Ma vi e' di piu'. Il proprietario di un canale di comunicazione ed il gestore del sito internet recante messaggi "on line" sono stati correttamente equiparati agli organi di stampa in quanto, anch'essi, al pari degli organi di stampa, riproducono un'opera. o uno scritto rendendoli accessibili ad un pubblico di lettori (In tal senso si e' espresso Trib. Napoli, ord. 8.8.97 est. Schisano, M. Cirino Pomicino s.p.a./ Geredil s.a.s. ed altri; sul tema anche Trib. Cuneo, ord. 23.6.97 gia' citata). Da cio' consegue la possibilita' di applicare, in via analogica, al content provider la norma dell'art.11 L. n.47/48 secondo la quale "per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore". D'altro canto, diversamente argomentando, si otterrebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra la tutela di diritti violati on líne e quelli violati con altri mezzi di diffusione (off line) venendosi, inoltre, a riconoscere la possibilita' di esercizio, senza alcun controllo, di un'attivita' che puo' essere fonte di danni di rilevante entita' per il numero potenzialmente assai elevato dei destinatari dell'informazione telematica. Ne' puo' ritenersi, come sostenuto dalle societa' convenute, che la prospettata estensione dell'applicabilita' del citato art. 11, si porrebbe in contrasto con il divieto di interpretazione analogica delle norme penali. L'opinione sopra esposta attiene esclusivamente ai riflessi civilistici del fatto reato e non porta ad estendere, in via analogica, al content provider la responsabilita' penale che l'art. 596 bis c.p. pone in capo all'editore per i l delitto di diffamazione a mezzo stampa. Va ora verificato il ruolo, in concreto, svolto dalle societa' convenute. Come si e' detto, la 2008 Comunicazione assume di aver assunto la veste di mero service provider, per essersi limitata a concedere; attraverso la creazione della relativa apposita directory, uno "spazio autogestito al suo interno al movimento Luther Blisset". Sennonche' tale assunto difensivo e' rimasto privo del benche' minimo riscontro ove si consideri che la suddetta societa' non ha neppure indicato il soggetto con il quale avrebbe instaurato il rapporto posto a fondamento delle proprie difese, atteso che, come e' pacifico, il nome Luther Blisset non identifica una persona fisica e neanche una persona giuridica. Ne' tanto meno ha provato il contenuto degli accordi asseritamente conclusi con l'utilizzatore della sua directory. Cio' che risulta e' unicamente la diffusione del libro "Lasciate che i bimbi" tramite il sito gestito dalla 2008 Comunicazione s.a.s. il che, in mancanza di elementi in contrario, porta a ritenere provato il diretto contributo della detta societa' alla pubblicazione dell'opera via internet. L'opinione che la 2008 Comunicazione s.a.s. abbia promosso l'opera e non si sia limitata a concedere a terzi solo l'uso del proprio spazio sulla rete, trova conferma anche nel fatto, peraltro pacifico, che la stessa ebbe a pubblicizzare gli scritti di Luther Blisset, ponendo in luce il rilevante numero di accessi alla directory in questione. Analoga e' la posizione della societa' Cybercore non essendo contestato che detta societa' abbia dato diretta diffusione all'articolo diffamatorio "La verita' e' elettrica, e si diffonde, si diffonde, si diffonde" pubblicato a suo dire sulla rivista Zero in condotta, tant'e' che allo stesso si accedeva, come e' pacifico, attraverso una voce dell'indice della "home page" del suo sito, consultando la rubrica "Pedofilia: Sex on line prende posizione". Le esposte considerazioni portano, dunque, a ritenere non solo l'editore Castelvecchi ma anche le altre societa' convenute, responsabili del danno morale causato all'attrice con gli scritti di Luther Blisset. La risarcibilita' dei danni lamentati non potrebbe, comunque, essere esclusa anche nel caso che si volesse in ipotesi negare la sussistenza del delitto di diffamazione ritenendosi configurabile solo una lesione dell'identita' personale, risarcimento non solo dei danni in senso strettamente patrimoniali, ma di tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attivita' realizzatrici della persona umana, con la conseguenza che alla lesione di diritti di rilevanza costituzionale segue la sanzione risarcitoria per il fatto in se' della lesione, indipendentemente dagli eventuali effetti patrimoniali che la stessa possa comportare. In tal senso si e' infatti pronunciata la piu' recente giurisprudenza sia di merito che di legittimita', che tende a dare ingresso alla tutela dei diritti fondamentali della persona nel sistema della responsabilita' civile, ed al collegare il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, al verificarsi di ogni comportamento lesivo dei beni giuridici tutelati in via primaria, sulla base di un concetto della patrimonialita' del danno in senso ampio, comprensivo, cioe', non solo del valore d'uso delle energie umane ma anche delle singole qualita' personali (sul tema: Cass. n.7713/00, n. 11103/98, n. 2576/96, n. 8286/96, Trib. Verona 26.2.96 est. D'Ascola). La quasi contemporaneita' della diffusione delle esternazioni diffamatorie di Luther Blisset, l'identita' del soggetto danneggiato e dell'interesse leso, consente di individuare un danno unico non rilevando, in contrario, che le singole condotte illecite abbiano influito, nel senso, non solo di porsi come concause, ma anche di determinare un pregiudizio complessivamente maggiore di quello che la singola condotta avrebbe posto in essere, non escludendo siffatte caratteristiche la sostanziale unicita' dell'evento lesivo (tra le tante: Cass.5944/97). Venendo alla determinazione del quantum, il danno subito dall'attrice nelle sue diverse componenti, va liquidato equitativamente, all'attualita', nella somma di £.80.000.000, comprensiva di rivalutazione ed interessi: somma che appare adeguata alla situazione di grave sofferenza e disagio conseguente alla divulgazione degli scritti lesivi della sua reputazione professionale e della sua identita' personale. Pur ricorrendo i presupposti di cui all'art. 2055 c.c., la suddetta somma non puo' essere posta a carico delle societa' convenute, in via tra loro solidale, mancando una espressa richiesta di parte attrice in tal senso. Considerata la portata lesiva delle diverse condotte appare equo porre l'importo come sopra liquidato a carico della Societa' Castelvecchi Editore e della 2008 Comunicazione s.a.s. nella misura di £.30.000.000 ciascuna, ponendo a carico della Cybercore solo la restante parte di £ 20.000.000, oltre agli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo. Va invece respinta la richiesta di liquidazione della riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 12 L. n.47/49 aderendo, questo Giudice, all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la menzionata norma, avendo funzione sostanzialmente sanzionatoria, e' applicabile solo dal Giudice penale (Cass.pen. V, 20.11.90, Andreolli). La societa' Castelvecchi va condannata al ritiro dal commercio ed alla distruzione delle copie dell'Opera "Lasciate che i bimbi" attualmente presenti presso le librerie del territorio nazionale e presso la propria sede. La societa' Castelvecchi potra' continuare la pubblicazione dell'opera solo previa eliminazione del capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura" e del paragrafo "il caso Dimitri e' chiuso". La societa' 2008 Comunicazione va condannata alla cancellazione del suddetto capitolo e paragrafo dal sito www.2mila8.it. La societa' Cybercore va, a sua volta, condannata alla cancellazione dal sito www.Sexonline.cybercore.com/tortuga/satsta8.hmt., di quella parte dell'articolo "La verita' e' elettrica, e si diffonde, si diffonde, si díffonde", sopra riportata tra virgolette e di cui l'attrice si duole. Venendo all'esame della domanda proposta dalla societa' Castelvecchi, la stessa chiede che sia dichiarato l'obbligo solidale di Roberto Bui, quale autore del libro "Lasciate che i Bimbi" e cio' ai sensi dell'art. 11 L. 47/48 " statuendo, con riguardo all'avversaria domanda di pagamento dell'intero, in ordine alla ripetizione dovuta". Come riportato in narrativa, il Bui contesta di essere l'autore dell'opera in questione, assumendo di aver sottoscritto il contratto di edizione in atti, non in nome proprio, ma quale mandatario con rappresentanza del movimento collettivo "Luther Blisset". Precisa che Luther Blisset e' un "nome multiplo" che identifica una collettivita' transnazionale i cui componenti comunicano tra foro prevalentemente via internet e che lo statuto ideologico ed i referenti culturali del Luther Blísset? Project sono di complessa identificazione: si possono riconoscere linguaggi tipici della sinistra sociale antagonista, tematiche riprese da recenti movimenti culturali, come il situazionismo, stili ironici e beffardi da tempo propri della sinistra giovanile. Deduce, altresi', che la societa' Castelvecchi era a conoscenza della natura collettiva ed impersonale dell'opera in esame avendo, gia' in passato, pubblicato il saggio Mind lnvaders sotto lo stesso marchio ed avendo, in piu' occasioni, anche pubbliche, di' essere pienamente al corrente del movimento in questione ed anche di condividerne gli scopi. Dal che l'infondatezza del suo assunto di avere concluso il contratto di edizione ritenendo che Luther Blisset fosse lo pseudonimo di esso Bui. Eccepisce, inoltre, il Bui, che non avendo la Castelvecchi ancora effettuato alcun valido pagamento per il titolo dedotto, mancherebbero i presupposi per l'esercizio dell'azione di regresso proposta nei suoi confronti. Tali tesi difensive non possono essere condivise. Secondo quanto sostiene il Bui poiche' l'opera "Lasciate che i bimbi" ha natura collettiva ed impersonale, come ogni produzione attribuibile a Luther Blisset, egli non potrebbe risponderne avendo sottoscritto il contratto di edizione in nome e per conto del suddetto movimento culturale. Ebbene, anche volendo ritenere, come e' peraltro pacifico in causa, che effettivamente l'eponimo Luther Blisset identifichi una collettivita' di persone, non puo' porsi in dubbio che dell'opera generatrice del danno di cui si discute dovrebbe rispondere la suddetta "collettivita'", e per essa, quindi, i suoi singoli componenti trattandosi, per quel che sembra, di un'associazione di persone. Orbene, tenuto conto del suo comportamento e dell'attivita' da lui svolta nella vicenda in esame, si ravvisano fondati motivi di ritenere che il Bui facesse parte di quella collettivita' e ne condividesse gli scopi, tant'e' che non ha indicato alcun'altra e diversa ragione per la quale sarebbe stato indotto a farsi portatore delle idee del gruppo. Ma anche volendo prescindere da tale rilievo, occorre osservare che, contrariamente da quanto assume il Bui, egli ha sottoscritto in proprio il contratto di edizione in atti; qualificandosi espressamente come "autore" del libro, senza spendere il nome del suddetto movimento, ma chiedendo unicamente all'editore di inserire "il nome dell'Autore (e cioe' il suo, n.d.r.) in copertina e nel frontespizio" con la "dicitura ? Luther Blisset" (v. doc.2 Castelvecchi). Legittima e' dunque la pretesa della societa' Castelvecchi a che il Bui venga dichiarato corresponsabile dei danni in oggetto, ai sensi dell'art. 11 L.n.47/48. Per quanto riguarda poi l'azione di regresso, il fatto che la societa' Castelvecchi non abbia ancora soddisfatto le pretese risarcitorie dell'attrice, non esclude che la stessa abbia interesse e titolo all'accertamento dell'obbligo "solidale dell'autore Roberto Bui" ed alla statuizione, "con riguardo all'avversaria domanda attrice di pagamento dell'intero, in ordine alla ripetizione dovuta", dovendo tale domanda essere interpretata quale richiesta della Castelvecchi di essere tenuta indenne per quella parte di somme che sara' chiamata a versare in eccesso, rispetto alla quota di sua spettanza. Cio' posto, gli elementi acquisiti portano a ritenere che il Bui e la societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s..r.l. abbiano concorso in parti uguali alla produzione dell'evento lesivo. Roberto Bui va pertanto condannato a tenere indenne la suddetta societa', nei limiti del 50% di quanto essa verra' a pagare all'attrice per il titolo dedotto, per capitale, interessi e spese. A norma dell'art. 120 c.p.c., quale contributo alla riparazione del danno, va disposta la pubblicazione del dispositivo della sentenza, per una sola volta, a cura e spese delle societa' convenute, sui quotidiani "La Repubblica" ed "il Resto del Carlino", cronaca di Bologna, limitatamente ai capi che riguardano le societa' convenute, con esclusione di quelli relativi al chiamato in causa Bui nei cui confronti parte attrice non ha spiegato alcuna domanda. Si ravvisano giusti motivi per dichiarare le spese di lite interamente compensate tra il Bui e la Castelvecchi. Le spese tra le altre parti seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Definitivamente decidendo: 1)dichiara che il capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura" (pag.19-50) ed il paragrafo "li caso Dimitrí e' chiuso" (pag. 105-107) contenuti nel libro "Lasciate che i bimbi - Pedofilia: un pretesto per la caccia alle streghe" di Luther Blisset, edito dalla societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l., e diffuso via Internet dalla societa' 2008 Comunicazione s.a.s. al Sito www.2mila8.it, sono lesivi della reputazione e dell'identita' personale dell'attrice Lucia Musti; 2) dichiara che l'articolo "La verita' e' elettrica e si diffonde, si diffonde, si diffonde ", diffuso via internet dalla societa' Cybercore s.r.l. al sito Sex on line (indirizzo: www.Sexonline..cybercore.com/tortuga/satsta8.htrm) e' lesivo della reputazione e dell'identita' personale dell'attrice nella parte indicata in parte motiva; 2)liquida i danni, subiti da Lucia Musti, per la causale di cui sopra, nella somma complessiva di £.80.000.000 e condanna le societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l., Cybercore s.a.s, e 2008 Comunicazione s.a.s. al pagamento, a favore dell'attrice Musti, del suddetto importo ma ciascuna rispettivamente nei limiti, di £.30.000.000, di £.30.000.000 e di £.20.000.000, oltre agli interessi legali dalla data della decisione al saldo; 4) condanna la societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l. al ritiro dal commercio ed alla distruzione delle copie dell'opera "Lasciate che i bimbi", attualmente presenti presso le librerie del territorio nazionale e presso la propria sede; 5) la detta societa' potra' continuare !a pubblicazione dell'opera solo previa eliminazione del capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura" e del paragrafo "il caso Dimitri e' chiuso"; 6) condanna la societa' 2008 Comunicazione s.a.s. a cancellare il capitolo ed il paragrafo di cui sopra dal sito www.2mila8.it; 7) condanna la societa' Cybercore s.r.l. alla cancellazione dal sito www.Sexonline..cybercore.com/tortuga/satsta8.htrm, di quella parte dell'articolo "La verita' e' elettrica, e si di'ffonde, si diffonde, si diffonde" riportata tra virgolette in parte motiva; 8) dichiara che Roberto Bui ha concorso, in misura paritaria con la societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.rl., a cagionare il danno in oggetto e conseguentemente condanna il Bui a tenere indenne la detta societa' di quanto la stessa verra' a corrispondere all'attrice per il titolo dedotto, per capitale, interessi e spese, nel limite del 50%; 9) condanna le societa' convenute, in solido tra loro, al rimborso a favore della Musti, delle spese di lite che liquida in complessive £.11.780.000, di cui £.1.980.000 per esborsi e spese generali, £.2.800.000 per diritti e £.7.000.000 per onorario di avvocato, oltre IVA e CPA; 10) dichiara interamente compensate le spese tra la societa' Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l. ed il chiamato in causa Roberto Bui; 11) ordina alle societa' convenute, a loro cura e spese ed in solido fra loro, la pubblicazione della sentenza per estratto, sui quotidiani, con le modalita' e limitatamente alle parti secondo quanto precisato in motivazione. Cosi deciso in Bologna il 14 giugno 2001.