MONITORAGGIO DELL'ATTIVITA' DEI LAVORATORI

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La principale e piu' articolata fonte normativa sull'argomento e'
costituita, in Italia, dalla Legge n. 300/70 lo "Statuto dei lavoratori".

Il primo comma dell'art. 4 vieta "l'uso di impianti audiovisivi e di altre
apparecchiature per finalita' di controllo a distanza dell'attivita' dei
lavoratori", e dispone, nel comma successivo, che "gli impianti e le
apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative
e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche
la possibilita' di controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori,
possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze
sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione
interna.

Tutela completata dall'art. 6 che prevedendo la possibilita' di controlli
sui lavoratori al termine del turno di lavorto purche' attuati in forme e
con modalita' tali da rispettare la "riservatezza" dei medesimi.

Ancora l'art. 8 proibisce al datore di lavoro di assumere informazioni,
attraverso attivita' d'indagine, circa le opinioni politiche religiose o
sindacali del lavoratore e circa altri fatti "non rilevanti ai fini della
valutazione dell'attitudine professionale; visto attraverso il diaframma
dell'informatica tale divieto si estende sino ad inibire al datore di
lavoro la possibilita' di "schedare" il lavoratore in "banche dati" o di
controllarne il tempo effettivo di lavoro su computer attraverso l'uso di
codici particolari di accesso (Pretore del Lavoro di Milano sentenza del 5
dicembre 1984).

In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede
l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalita' per l'uso di
tali impianti".

L'art. 38 della stessa legge, infine, stabilisce che la violazione
dell'art. 4 e' punita con l'ammenda o con l'arresto (cumulabili nei casi
piu' gravi). In questo contesto la sopracitata sentenza del Pretore di
Milano del 5 dicembre 1984 ha ritenuto illecito l'utilizzo di un programma
per elaboratore elettronico che permettesse, mediante un rapporto
settimanale su tabulato, il controllo analitico dell'attivita' lavorativa
del personale addetto al terminale.

La Legge 135/1990, all'art. 6, fa divieto al datore di lavoro di indagare
lo stato di sieropositivita' dei dipendenti o di persone da assumere. Cio'
non e' stato tuttavia sufficiente ad impedire che con l'art. 15 del d.l. 4
ottobre 1990, n. 276, in materia di assunzione, reclutamento ed organici
delle forze di polizia, venisse prescritto, per il personale delle forze
armate, di polizia e di vigili del fuoco, "l'accertamento dell'assenza di
sieropositivita' all'infezione da HIV per la verifica dell'idoneita'
all'espletamento dei servizi che comportano rischi per la sicurezza,
l'incolumita' e la salute dei terzi".

Dopo accesi dibattiti in sede di conversione, la successiva legge 30
novembre 1990, n. 359, ha riformulato il disposto normativo armonizzandolo
con i principi della legge n. 135/1990: e' stato cosi' sancito che gli
accertamenti possono compiersi solo con il consenso dell'interessato,
vietando, nel contempo, qualsiasi provvedimento sanzionatorio a carico di
chi rifiuti di sottoporsi al test e proibendo qualsiasi provvedimento
sfavorevole nei confronti di chi risulti invece sieropositivo. In questi
ultimi due casi pero' il soggetto potra' essere escluso da particolari
servizi.

Segnalo, infine, la direttiva CEE del 29 maggio 1990 relativa "alle
prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per le attivita'
lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali" che introduce
il principio secondo cui "nessun dispositivo di controllo quantitativo o
qualitativo puo' essere utilizzato ad insaputa dei lavoratori" (par. 3).